Perché quello con Michael Jackson è un ottimo episodio dei Simpson e non andrebbe censurato

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Sappiamo che Michael Jackson, o meglio, la sua eredità, sono nei guai. Per chi non fosse aggiornato: si tratta del documentario Leaving Neverland, nel quale le diverse accuse di abusi mosse negli anni al cantante sembrerebbero provate in maniera convincente. Noi non sappiamo se è così, ma certo le reazioni dell’audience alla prima proiezione al Sundance Festival sono state significative. Nel frattempo, varie stazioni radio hanno deciso di rimuovere la musica di Jacko dalla proprie programmazioni. Inoltre, è stato deciso di rimuovere, dove possibile, uno specifico episodio dei Simpson, del quale Michael Jackson fu ospite e personaggio portante.

L’episodio in questione si intitola Stark Raving Dad (in italiano: Papà-zzo da legare), e risale al 1991. Nell’episodio Homer finisce per sbaglio in una struttura per malati mentali, e qui conosce un personaggio convinto di “essere Michael Jackson”, pur apparendo chiaro che si tratta di una persona del tutto diversa. Homer diventa amico dell’uomo, che insiste nell’essere chi dice di essere. A causa di un equivoco, familiari e amici si convincono che Homer abbia incontrato il vero Michael Jackson, e che lo stia portando a casa con sé. Naturalmente, quando tutti lo vedono, constatano immediatamente che si tratta di un impostore. La delusione è generale, e in particolare Bart, eccitato all’idea di conoscere il grande idolo musicale, rimane completamente spiazzato.

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Alla fine, però, l’aiuto di “Michael” si rivela prezioso. Nel secondo “sub-plot” dell’episodio, infatti, Bart si è scordato il compleanno della sorella Lisa, e lei è giustamente in collera con lui per questo. “Michael” suggerisce a Bart di scrivere insieme una canzone per lei, offrendogli il suo aiuto. Bart è scettico, ma l’impostore gli dice: “Senti Bart, o Michael Jackson è uno che sta lavorando in uno studio di L.A., oppure è qui con te, disposto a lavorare su questa canzone. A te la scelta”. Bart sceglie per il meglio, e la canzone composta dai due è ovviamente bellissima, pure se molto semplice, e Lisa si commuove ricevendo questo regalo speciale.

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Alla fine, assolto il suo compito, l’impostore si rivela per quello che è veramente: Leon Kompovsky, un muratore del New Jersey. L’uomo spiega le ragioni del suo comportamento: “…è tutta la vita che sono arrabbiato, poi un giorno comincio a parlare così [imita Michael Jackson] e di colpo tutti mi sorridono e faccio felice la gente di questo pianeta, perciò continuo a farlo. Morale della favola: chi di noi è veramente pazzo?” Al che, come degna conclusione, Homer precisa “Io no, io ho questo!”, esibendo un certificato di “non insanità” rilasciatogli alla dimissione dall’istituto per l’igiene mentale.

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L’intera cornice dell’episodio riporta un quadro molto intelligente, ed interessante, approfondendo tematiche complesse. Anzitutto, l’idea della follia, della pazzia, dell’insanità mentale. Chi può giudicare chi è pazzo e chi no? Infatti, nell’episodio Homer viene accusato di ciò ingiustamente, ma in seguito la sua sanità mentale viene riconosciuta. Nonostante questo, ragionandoci un attimo: possiamo dire che Homer Simpson sia una persona completamente sana di mente? Anche no. Gli spettatori lo sanno, i produttori e autori della serie lo sanno, e lo sanno anche i familiari e gli amici dello stesso Homer.

C’è poi la questione della finzione: fingere di essere quello che non si è, ed essere ciò di cui ci si convince. L’uomo, Kompovsky, asserisce di avere assunto un’altra identità semplicemente per essere più felice, tema Pirandelliano che va molto più in là rispetto al contesto di una serie televisiva. Oltre a questo, il riferimento potrebbe essere all’idea stessa dell’artista: la voce del personaggio, infatti, è quella del vero Michael Jackson, che dichiara di aver cominciato a “parlare così” (cioè ad essere il cantante che tutti amano) per essere felice, e per rendere felici gli altri. Vero è che la voce di “Michael” mentre canta non è la sua, ma quella di un imitatore terzo; così la voce “reale” di Leon Kompovsky, che è quella di uno dei nomi storici della serie, Hank Azaria. Ma l’effetto rimane, perché è dell’immagine dell’artista, Michael Jackson, che si sta parlando, e di come essa viene anche percepita dal pubblico.

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In altre parole, forse in quel momento “Michael” sta veramente parlando di sé stesso, e spiega tanto ai Simpson quanto agli spettatori della serie perché un artista sceglie di diventare tale. Ma il risvolto più significativo, tenendo presente questa interpretazione, è che egli alla fine sceglie di svelarsi per quello che è realmente: un uomo umile, noiosamente “normale”, e forse proprio per questo “sempre arrabbiato”. Ma gettando la maschera, sacrificando in qualche modo la sacralità della propria statura artistica, “Michael” intende insegnare che fingere di essere chi non si è non è una cosa necessariamente negativa, se serve ad aiutare sé stessi e gli altri.

Tutto ciò assume ancor più significato se si pensa alla storia personale di Jacko. Comandato a bacchetta dal padre abusivo, capo e manager dei Jackson Five, fin dalla tenera età. Reso un grande artista e performer, in un certo senso, quasi contro la sua volontà e con metodi coercitivi. A fronte di questo, pensiamo alla spiazzante semplicità della canzone scritta per Lisa, che parla di amore fraterno, di sentimenti umani, di trovare un momento di gioia in un’occasione canonica come un compleanno.

In conclusione: al di là di quello che Michael Jackson potrebbe o non potrebbe aver fatto, riteniamo che la censura di un episodio dei Simpson significativo quanto questo non servirebbe a nulla e a nessuno, finendo semplicemente col privare i fan di uno dei momenti più belli della serie, e senza riparare in alcun modo ai “misfatti” eventualmente compiuti dal cantante nella sua vita.

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