Soundgarden – Superunknown | RECENSIONE

Superunknown dei Soundgarden è uno degli album fondamentali del genere grunge e di tutta la musica anni '90. Usciva il 9 marzo del 1994. Ecco la nostra recensione

Soundgarden
Credits: Soundgarden / YouTube
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Un disco che è come un buco nero nella musica degli anni ’90, potente e oscuro come pochi.

A metà anni ’90 i Soundgarden sono sulla cresta dell’onda. Assieme a Nirvana, Pearl Jam ed Alice in Chains, il quartetto guida la scena grunge di Seattle, spingendola fin dall’inizio. Il complesso di Chris Cornell infatti viene dall’underground anni ’80, ed assurge alla fama con l’album Badmotorfinger (1991).

Ma è Superunknown il capolavoro assoluto della band. Chris Cornell, Kim Thayil, Ben Shepherd e Matt Cameron (quest’ultimo oggi nei Pearl Jam) costituiscono una delle formazioni più potenti di tutto il rock anni ’90. Da alcuni identificati come “i nuovi Led Zeppelin”, i Soundgarden esprimono un alternative rock estremamente tecnico.

Con elementi di heavy metal e hard rock ben distribuiti, il songwriting, principalmente affidato a Cornell, è potente e passionale, profondo, cupo, spesso auto-commiserativo. Ma allor stesso tempo la violenza e l’intemperanza della musica dei quattro, in un album come questo, sono innegabili.

In superficie, per i fan e i conoscitori di musica meno attenti, ci sono i singoli di successo tratti dall’album: Spoonman, Black Hole Sun, Fell On Black Days, The Day I Tried to Live. Quattro capolavori, artefici della popolarità commerciale dei Soundgarden all’epoca.

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Questo grazie anche a felici intuizioni come la partecipazione, nell’omonima canzone, dello “Spoonman”, Artis, suonatore di cucchiai recuperato dalle strade di Seattle. Ma Superunknown non si ferma qui. Ogni singola canzone rappresenta un momento unico e irripetibile di un album particolarmente ispirato.

Ecco quindi altri capolavori nascosti, come Let Me Drown, My Wave, Mailman, Limo Wreck, 4th of July, la title track. L’eclettismo del gruppo è evidente nel punk rock di Kickstand, la psichedelia alternativa di Half, la semi-parodia Beatlesiana di Black Hole Sun, lo stoner rock di 4th of July.

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I quattro strumentisti organizzano la propria arte in dialoghi musicali organizzati su tempi composti, intrecci di melodie, ritmiche audaci, toni cupi e spettrali. Su tutto, come è giusto, impera la voce indimenticabile di Chris Cornell, venata di disperazione e rabbia repressa.

Tutto l’album è una continua immersione in un abisso, un abisso tuttavia sorprendentemente sfaccettato: il nero non è l’unico colore presente, contornato com’è da molteplici sfumature alle volte più positive, alle volte quasi curiose di esplorare vie alternative di espressione.

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Il caso è quello, per esempio, delle atmosfere quasi auto-parodistiche di The Day I Tried to Live. Non c’è tuttavia da sbagliarsi: con Superunknown i Soundgarden intendono immergersi nell’oscurità dell’animo umano, esplorandone i tratti più negativi e se vogliamo repellenti.

Questo album rimane un momento assolutamente unico nella storia della musica rock, avendo segnato indelebilmente gli anni ’90, il grunge, il rock alternativo. E l’importanza della sua eredità è tanto più significativa in seguito alla tragica scomparsa di uno dei principali artefici dell’opera, Chris Cornell.

Il cantante sembra infine essere precipitato definitivamente all’interno di quello stesso abisso che qui si accingeva ad esplorare. Ma ha lasciato moltissimo indietro, e Superunknown rimane oggi la punta di diamante di una produzione artistica notevolissima: album di come ne escono pochi in ogni generazione.

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