Fabrizio De André stimava Luigi Tenco, come uomo e come artista.
Luigi Tenco e Fabrizio De André avevano molto in comune. Appartenevano entrambi alla cosiddetta “Scuola genovese”, ovvero quella cerchia di artisti moderni che, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, rivoluzionarono la musica italiana.
Luigi Tenco e Fabrizio De André scrivevano liberamente, esprimevano pensieri, anche scomodi, avevano una visione del mondo e dei tempi in cui vivevano che, per molti aspetti, potrebbe essere definita anticonformista.
Preghiera in gennaio è una poesia in musica, scritta in occasione della morte di Tenco.
Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio del 1967, dopo l’eliminazione del suo brano Ciao amore, ciao dal Festival di Sanremo, Luigi Tenco si tolse la vita con un colpo di pistola. Vicino al corpo, un biglietto che spiegava il gesto come atto di protesta nei confronti di “un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione”.
Nel corso degli anni, sono state formulate numerose ipotesi, diverse dal suicidio, ma alla fine delle indagini, fu confermata la tesi iniziale. Fabrizio De André, dopo esser venuto a conoscenza del tragico avvenimento, si precipitò a Sanremo e rimase molto turbato dalla vista del corpo senza vita dell’amico e collega.
Sentì dunque l’esigenza di esprimere i suoi sentimenti per Luigi Tenco in musica. Prese carta e penna e scrisse Preghiera in gennaio. Il testo è ispirato alla poesia francese Prière pour aller au paradis avec les ânes, del poeta Francis Jammes. Preghiera in gennaio è una toccante preghiera, con la quale si chiede a Dio di riservare un trattamento speciale a chi, come Tenco, ha scelto di morire perché oppresso dall’odio e dall’ignoranza del mondo.
“Quando attraverserà L’ultimo vecchio ponte Ai suicidi dirà Baciandoli alla fronte Venite in Paradiso Là dove vado anch’io Perché non c’è l’inferno Nel mondo del buon Dio”
Faber immagina un buon Dio, che non respinge, ma accoglie i suoi figli suicidi in Paradiso. Fin dai primi versi, la canzone prende posizione contro l’opinione e il pregiudizio della società del tempo, che considerava i suicidi imperdonabili peccatori. Si sofferma, invece, sulla loro sofferenza e sulla misericordia di un Dio che perdona e comprende.
Bastano poche parole a De André per esprimere con chiarezza la sua opposizione al moralismo e alle ingiustizie. Gli basta poco per zittire coloro che, predicando da buoni cristiani, giudicarono e spesero inutili parole sul tragico gesto compiuto da Luigi Tenco.
“Signori benpensanti Spero non vi dispiaccia Se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia Soffocherà il singhiozzo Di quelle labbra smorte Che all’odio e all’ignoranza Preferirono la morte”
Il testo prosegue rivolgendosi apertamente ai benpensanti, invitandoli ad accettare la misericordia di Dio nei confronti di chi, come Tenco, non ha potuto sopportare il dolore di vivere in un mondo pieno di odio e di ignoranza.
Faber torna poi al dialogo diretto con Dio, sostenendo che in fondo il Paradiso è fatto proprio “per chi non ha sorriso” e ha vissuto “con la coscienza pura”, mentre l’inferno esiste solo “per chi ne ha paura”.
“Meglio di lui nessuno Mai ti potrà indicare Gli errori di noi tutti Che puoi e vuoi salvare”
Luigi Tenco, nel corso della sua breve vita, ha compreso e combattuto gli errori e le ingiustizie di un mondo, dove spesso l’odio, la violenza e la menzogna prevalgono sull’onestà e sulla verità.
“Ascolta la sua voce Che ormai canta nel vento Dio di misericordia Vedrai, sarai contento”
Nel brano non si fa mai esplicito riferimento al legame delle parole con Luigi Tenco e la sua triste fine. Questi ultimi versi però fanno cenno alla sua voce, che “ormai canta nel vento”. Da quella triste notte, conclude il poeta Faber, anche Dio potrà ascoltare le canzoni di Tenco e, senza dubbio, ne sarà contento.
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