La Paranza dei Bambini: recensione del film lontano da Gomorra
La Paranza dei Bambini di Giovannesi analizza il rapporto tra la camorra e i giovani clan nati da arrivismo, violenza e vuoti di potere. Ecco la recensione del film.
In contemporanea alla presentazione alla Berlinale, esce in Italia La Paranza dei Bambini, film diretto da Claudio Giovannesi e tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano.
Ambientanto nel cuore di Napoli, tra il Centro Storico, il Rione Sanità ed i Quartieri Spagnoli, il film tratta del fenomeno delle “paranze” che fece inorridire cittadini ed opinione pubblica. Le cosiddette “paranze dei bambini” sono gruppi armati che operano in ambito camorristico composti da bambini di età compresa tra gli 8 ed i 16 anni. Troppo piccoli per essere processati ma allo stesso tempo già grandi per imbracciare mitra, fucili e pistole.In una buona ricostruzione del romanzo di Saviano, il film narra della storia di dieci ragazzini senza nome, identificati solo tramite soprannomi. Questi, per uscire dalla miseria in cui vivono, decidono prima di affiliarsi ad un clan camorristico e poi di mettersi in proprio, diventando sanguinari boss all’età di 15 anni e rimanendo bruciati dalla legge del più forte.
La Paranza dei Bambini è agli antipodi di Gomorra
Giovannesi e Saviano avranno sicuramente constatato che trattare di camorra dopo il fortunato ciclo di Gomorra non è facile, come non lo è trattare un fenomeno sociale ancora in atto e quasi impossibile da debellare. La Paranza dei bambini è lontano dalla frenetica struttura narrativa di Garrone, ma soprattutto lontana dagli eccessi barocchi di Gomorra – La Serie. Il volersi distanziare, scelta pienamente condivisibile per dare credibilità al racconto, dalla mitologia dei Savastano di turno, porta Giovannesi a realizzare un film fortemente cupo e oppressivo con una classica struttura narrativa lineare. Prendendo ispirazione dai canoni filmici del passato, Giovannesi ci mostra una lenta progressione verso il crimine evitando attentamente di romanzare alcunchè.
Scelta obbligata da un lato ma deludente da un altro. Narrare un evento in tutta la sua complessità — evitando “scorciatoie da film”, spargimenti di sangue e mitizzazioni esistenti solo nelle penne degli sceneggiatori — richiede abilità non pervenute nel film. La Paranza dei Bambini è, forse, uno dei primi prodotti italiani di questi anni ad occuparsi della criminalità napoletana nei quartieri poveri senza cedere alle atmosfere da fiction. Uno spettatore estraneo ai fatti ed al libro, però, non può comprendere in soli 100 minuti un sistema complesso e – sotto certi aspetti – ancora inesplorato. Ad esempio nel film è ben narrata la volontà di giustizia dei giovani oppressi e al contempo la volontà di unirsi agli oppressori per avere una vita migliore. Sono oscure, però, le cause per cui giovani ragazzi passano — in pochi mesi — dall’essere corrieri di droga all’esercitare un controllo armato delle proprie strade.
La chiave di lettura del film è da trovare nell’arresto dei membri del clan dominante durante il matrimonio. Il vuoto di potere che segue porta i giovani ragazzi tentati dalla vita criminale a fare il grande passo ed imitare i grandi. Nelle paranze l’elemento che desta più scalpore è la mancanza di ogni tipo di ragionamento “imprenditoriale”: c’è solo il folle arrivismo e la violenza cieca.
La Paranza dei Bambini ha un’ottima regia, ma una fragile sceneggiatura
La scelta di girare gran parte del film in soggettiva avvalora certamente l’intenzione di dare realismo al lavoro. Molto buona anche la colonna sonora, ben studiata e non invasiva: alla musica neomelodica si preferisce il rumore della strada, del traffico, di sirene che passano. Giovannesi non ha paura di mostrare la realtà in tutte le sue forme, anche quando questa delude le aspettative dello spettatore che certamente – complice la restrizione VM14 – aspetta forme di violenza più estreme. A risaltare dal racconto realista de La Paranza dei Bambini è soprattutto lo squallore, il degrado e l’immobilismo. Il senso di oppressione che i ragazzini sullo schermo provano è trasmesso abilmente al di là dello schermo, grazie anche alle riprese in piano sequenza e con l’aiuto della steadycam.
Non si sbilancia troppo la sceneggiatura, che – nel tentativo di aderire pedissequamente all’omonimo libro – dimentica che il linguaggio del cinema è ben diverso. Non basta, quindi, proporre una sincera linearità per dare corpo al racconto. Il film si chiude proprio nel momento di massima tensione, si spera per scelta artistica e non per altre ragioni, lasciando il dubbio che il film avrebbe meritato un finale molto più crudo.