Negli ultimi decenni si assiste ad un processo di desacralizzazione della Chiesa, soprattutto a seguito degli scandali sessuali e politici che vengono messi in luce. Questa tematica così pulsante di energia simbolico-narrativa trova spazio nella produzione culturale e cinematografica recente. Un tema che diviene uno strumento quasi catartico e liberatorio, il cui potere è quello di destituire l’aura sacra attorno alla quale la Chiesa si era avvolta. Non più sacerdoti ma uomini, uomini deboli, precari in crisi spirituale ma anche esistenziale. Ancora una volta vengono manifestati nel cinema contemporaneo i presupposti ideologici della crisi post-moderna. Una crisi dell’individuo estesa ora a uomini rappresentanti della Chiesa, che vengono assorbiti e travolti da quei dubbi sull’esistenza. Tanti sono gli esempi: da Il caso Spotlight a Habemus Papam, passando da The Young Pope e arrivando a First Reformed.
First Reformed di Paul Schrader è altrettanto emblematico come caso cinematografico.
Il critico e regista americano pone al centro del suo racconto, che gli è valsa la candidatura come miglior sceneggiatura originale agli Oscar del 2019 (QUI tutte le nomination) e quella per il Leone d’oro a Venezia nel 2017, un sacerdote in declino. Il reverendo Toller, ex cappellano militare, dopo la morte del figlio e la fine del suo matrimonio si ritira in una piccola ma antica chiesa nella periferia americana: la prima riformata. Qui lacerato dalla sua angoscia e dalla sua solitudine, oltre che da un cancro che che lo consuma lentamente, vive la sua crisi. Tuttavia, a causa dell’abito talare che indossa, Toller è costretto a mascherare la sua personale condizione emotiva, mantenendosi fedele alle norme che il suo ruolo sociale gli impone. Si viene in tal modo a creare uno scarto narrativo tra la sfera intima e interiore del protagonista e quella pubblica, da uomo di chiesa. Schrader rappresenta così una scissione interna al protagonista, nel quale condizioni ontologiche opposte si scontrano. Da un lato un uomo schiacciato dal peso dei fallimenti della sua vita, dall’altro un sacerdote che deve innalzarsi come baluardo della fede e guida spirituale.
Ma come può un uomo egli stesso in crisi fare da guida spirituale? Presto la precarietà e la fallacia della sua condizione corrompono ulteriormente la figura di uomo e di sacerdote. L’incontro con il fanatico attivista ambientale Michael Mensana costituisce la spinta necessaria a far precipitare gli eventi. La disperazione percepita dall’uomo nel non poter permettere a suo figlio di vivere in un mondo sano, spinge il reverendo Toller in una sorta di lucido delirio. L’acuirsi della crisi spirituale ed esistenziale del reverendo è la componente fondamentale della storia, su cui Schrader costruisce il racconto. Il regista esibisce in tal modo la crisi della Chiesa e dei suoi rappresentanti, oltre che dell’uomo in una società in declino, sull’orlo dell’abisso. Da cui ne deriva solamente angoscia, sconforto ed una profonda nevrosi che lacera la psiche degli individui.
Un’interessante meccanismo ed espediente narrativo è data dalla voce fuori campo del protagonista che commenta le pagine del suo diario personale.
Toller a inizio film decide di tenere un diario personale, da redigere per la durata di dodici mesi, come un esperimento all’interno del quale riversare la sua ansia, i suoi dubbi e i pensieri più profondi. Il diario diventa allora lo specchio, la rappresentazione stilistica dell’angoscia e della crisi del suo proprietario. La scrittura diventa lo spazio dove la condizione intima di Toller si compie e si sfoga, manifestando pienamente se stessa. Nel diario egli riversa la sua mente scissa e precaria, con I rimorsi e il rancore per il fallimento della sua vita e per la cupidigia dell’uomo che distrugge la creazione di Dio. “WIll God forgive us?” campeggia come un grande manifesto sul film, all’interno del quale Schrader compie una lucida e intelligente riflessione sulla condizione della società post-industriale. I dialoghi sono dotati di un certo carisma e fascino, suggestionando e stimolando lo spettatore ad una critica di stampo politico-ecologica.
Sul piano stilistico ed estetico Schrader decide di rappresentare l’angoscia e lo sconforto esistenziale con una regia asciutta e rigida. L’inquadratura è per la maggior parte statica e fissa su una prospettiva unidirezionale e in primo piano sulle facce, sui corpi e sugli oggetti. Lo stile di First Reformed è asciutto, rigoroso e composto; delineando un comparto tecnico compatto e quasi stoico. Dalla colonna sonora quasi assente, ma essenziale nell’enfatizzare la crisi in alcuni momenti, fino alla fotografia dalle tonalità per lo più grige e spente a rappresentazione del buio interiore che avvolge Toller e di cui egli stesso parla. L’occhio registico di Schrader inquadra e ingloba con profondo rigore lo spazio esistenziale del protagonista. La desolazione dell’ambiente scenico, diventa lo spazio della psiche in crisi del reverendo. Una psiche distrutta enfatizzata da un gioco di luci opache e quasi inesistenti negli ambienti interni della canonica. First Reformed possiede la cifra stilistica di un film che si discosta per forma e contenuti dal panorama cinematografico convenzionale di Hollywood, donandoci un film dallo stesso impatto emotivo e dalla caratura superiore. Un grandissimo successo per Schrader.