Panda Bear continua il suo lavoro discretamente, senza sconvolgere
Il nuovo album di Panda Bear, Buoys, arriva a quattro anni di distanza dal precedente, Panda Bear Meets the Grim Reaper (2015). A differenza dell’ultimo lavoro, mister Noah Lennox sembra aver virato stavolta su una formula musicale molto semplice, discreta e anche un po’ silenziosa.
Buoys è un album che potrebbe essere suonato su di una spiaggia deserta in uno dei primi giorni d’estate. Le canzoni sono positive, calme, serene, allegre, calde. Un indie folk (le strutture di chitarre acustiche che reggono ogni canzone) si accompagna a sottili tinte elettroniche, utilizzate più come contorno che come ingrediente principale.
Il disco scorre sereno, senza urla, senza momenti dance, senza synthpop sfrenato. Richiama molto alla mente i primi lavori degli Animal Collective, ma con un accento particolarmente pacato. I pezzi migliori sono Dolphin, Token, Master, e la particolare Inner Monologue, nella quale si ode una voce femminile sussurrata che sembra passare continuamente da risate a gemiti e altri versi poco comprensibili.
In sostanza, Buoys può essere un disco interessante e piacevole per i fan di Panda Bear e degli Animal Collective, ma difficilmente potrà interessare un ascoltatore che non sia già conoscitore della musica del collettivo americano. Le sottili stratificazioni sonore, i minuscoli contrappunti, le atmosfere rilassate e vagamente psichedeliche (l’uso intensivo dell’effetto eco aiuta), non saranno nulla di nuovo per i fan storici.
Allo stesso tempo, anche costoro saranno costretti ad ammettere che Buoysnon rappresenta per Panda Bearnulla come un passo avanti. Piuttosto, sembra quasi una pausa di riflessione, o un piccolo svago musicale pubblicato senza intenzioni troppo serie. Tenendo presente questo, Buoys può tranquillamente essere ascoltato come un buon disco, ma non eccezionale.