Capita ancora oggi che l’americano medio sia indignato da contenuti che, completamente innocui, sono lontani dalla malizia della provocazione: questa volta è stato First Man (stasera alle21.21 su Canale 5), l’ultimo lungometraggio di Damien Chazelle, a sconcertare l’America più bigotta e conservatrice.
Adattamento cinematografico della biografia First Man: The Life of Neil A. Armstrong, il biopic del giovane regista americano narra l’epopea di Neil Armstrong, primo uomo ad aver camminato sulla Luna, seguendone la vita a partire dal suo ingresso nella NASA fino al suo piccolo e celebre passo sulla superficie del satellite terrestre. Senza soffermarsi sul ruolo storico rivestito dall’astronauta, Damien Chazelle decide di lasciare da parte la Storia, per focalizzarsi sulla storia personale –quella con la s minuscola– dell’uomo che, nell’immaginario americano, è diventato un eroe.
Ed è proprio l’immaginario americano la causa del caos scatenato dalla proiezione del film.
Strano popolo, gli americani. Pervasi da un eccessivo orgoglio nazionale, finiscono per isolarsi nel loro campanilismo, quasi come se, al mondo, non ci fosse nessuno. Solamente loro e i loro punti di vista che, ottusi e morbosi, portano alla nascita di dibattiti inutili e superficiali. Come quello che ha avuto come centro First Man.
Gli americani sono rimasti sconcertati dalla scelta di Chazelle di non includere nel film la scena di Neil Armstrong (Ryan Gosling) intento a piantare la bandiera americana sul suolo lunare, una scena che, citata in ogni libro di storia e mostrata in ogni documentario, si è trasformata con il passare degli anni in simbolo dell’allunaggio e della conseguente conquista umana dello spazio. L’esclusione sarebbe, agli occhi dell’America più bigotta, “una follia totale”: così l’ha definita il senatore repubblicano Marco Rubio, il quale, in un tweet, ha continuato a descriverla come tradimento, “un danno in un’epoca in cui il popolo (americano, ndr) ha bisogno di ricordare ciò che possiamo ottenere quando lavoriamo insieme”.
Scatenata a qualche ora di distanza dalla première mondiale, avvenuta presso la 75ª edizione del Festival di Venezia, la controversia riguardante First Man ha scatenato una reazione isterica che ha infetto numerosi personaggi di importanza mediatica, quali il giornalista neoconvervatore William “Bill” Kristol –che ha definito il film “una falsa e dannosa falsificazione della storia“– e la speaker di Fox News Ainsley Earhardt, per la quale non solo il regista, ma l’intera industria cinematografica statunitense avrebbe paura di evidenziare la sua americanità. L’isteria dovuta a tale feticismo nei confronti della bandiera ha, inoltre, portato il pubblico americano a ipotizzare complotti deliranti, degni del miglior film action hollywoodiano: per molti, infatti, si tratterebbe di una censura volontaria dovuta alla distribuzione del film in Cina. Come se la condanna da parte del governo cinese fosse dovuta solamente ad una bandiera in più.
Osservando una delle sfide più importanti della storia dell’umanità da una prospettiva inedita, First Man racconta una storia familiare, un’epopea emotiva che ruota attorno alla figura dell’uomo –e non dell’astronauta– Neil Armstrong. E l’ha ribadito anche Damien Chazelle, per il quale il compito del film era quello di mostrare la complessità della “saga personale” del protagonista. Sotto tale ottica, quindi, l’assenza della famosa scena sulla luna non sarebbe motivato da “un’ideologia politica”, ma dal fatto che il regista volesse concentrarsi “sui momenti solitari di Neil sulla Luna”.
Anche Ryan Gosling, attore protagonista del lungometraggio, ha deciso di difendere le scelte narrative presenti nel film di cui ha fatto parte, sostenendo di dubitare che “Neil vedesse se stesso come un eroe americano”. Schierati al suo fianco, anche Rick e Mark, i figli del celebre astronauta: “questa è una storia umana e universale” sostengono. “Non celebra solamente un successo dell’America, ma anche –e sopratutto– un successo dell’intera umanità”.
Eppure, nonostante tutte le spiegazioni offerte dal regista e dall’attore principale, in First Man di bandiere americane ce ne sono tante. Forse troppe. Sparpagliate sugli shuttle, nel cesto di fiori lasciato nella stanza dove Armstrong è in quarantena, di fronte alle case, sulle uniformi degli astronauti e, per ben due volte, anche sulla Luna. In poche parole, ovunque. Incomprensibile, quindi, l’attacco che è stato scagliato al film di Chazelle, che è stato capace di dar vita ad una nuova rilettura del mito americano dell’allunaggio. Una rilettura che, nonostante tutto, è ancora fortemente patriottica.