Tre Allegri Ragazzi Morti – Recensione del nuovo album – #Venerdindie
La band mascherata più amata della scena indipendente torna il 25 gennaio con un nuovo album frutto di una lunga gestazione, "Sindacato dei sogni", ricco di ricerca e tradizione.
Tornano, dopo quasi tre anni da Inumani, i Tre Allegri Ragazzi Morti.
Il gruppo friulano celebra il suo venticinquesimo anno di attività con un disco molto interessante. Sindacato dei sogni è capace di confermare la capacità della band di reinventarsi e sperimentare dopo tanti anni di onorata carriera. Specie nella situazione musicale di oggi, dominata dal linguaggio pop, l’alternativa dei Tre Allegri Ragazzi Morti può ancora considerarsi un punto di riferimento dell’indie rock. Ed è al rock che questo disco, a più riprese, è votato.
Una conversione al sound originario della band, dal gusto quasi classico, retrò. Il rock di Sindacato dei sogni è un rock psichedelico, sognante, puro suono. Così i tre tornano a mettere al centro il sound, e quindi la sperimentazione su di esso. Questo ritorno al passato permette di riproporre modelli e idee di una certa fase del rock italiano, svecchiandole e adattandole allo stile del gruppo.
Basta guardare alla ricchezza strumentale che segna il disco da cima a fondo.
A cominciare dalla batteria di Luca Masseroni, per l’occasione una Ludwig del 1973, che gli ha permesso di esprimersi su linee di percussioni ricche ed elaborate. Come ad esempio in Calamita, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album il 17 gennaio, in cui la progressione ritmica della batteria arricchisce il bridge di chitarra e synth, di concezione quasi jazzistica. Ed è la chitarra di Davide Toffolo ad infiammare l’album con un’inventiva rara. Le tracce di chitarra dimostrano sempre sapienza e ricerca, come magistralmente esemplifica Una ceramica italiana persa in California, titolo che in qualche modo si rifà alla cover dell’album. Nella lunga introduzione strumentale, che caratterizza la tessitura di tutto il pezzo, Toffolo riesce ad inserirsi perfettamente nello psichedelico ostinato di synth, basso e batteria, con interventi chitarristici davvero magistrali.
La sperimentazione sonora però non si ferma ai timbri nerboruti di synth, piano elettrico e arpeggiatori. Il misterico flauto di Ruben Gardella in Mi capirai (solo da morto) invigorisce la vena progressive dell’opera. Allo stesso modo l’infaticabile sax di Francesco Bearzatti in C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno conferma quel certo gusto per i linguaggi del jazz a cui la band ci ha abituato.
Una grande commistione di stili e generi musicali, come già fu Inumani.
Insieme al rinnovato gusto per i linguaggi classici, i Tre Allegri Ragazzi Morti non rinunciano alla leggerezza di scrittura degli ultimi lavori e agli stilemi cantautorali che caratterizzano i loro testi e le loro armonie. Lo fanno però con grandissima personalità . Accovacciata gigante inizia come una spensierata canzone d’amore, che però si avviluppa nell’armonizzazione fino a tratteggiare atmosfere ben più cupe e distorte dell’incipit del pezzo. Anche Bengala risente di reminiscenze pop, e probabilmente sarebbe stato il brano più debole del disco se non fosse stato arricchito da una versione unplugged. Alla fine del disco, come bonus track, c’è Con i bengala in cielo, versione acustica di Bengala già pubblicata come singolo, che avvalora l’originale con una tessitura fatta solo di archi e armonica.
Quindi anche nelle virate più leggere la band scrive brani sempre ben strutturati, spingendo l’acceleratore anche sulla forma. Con Mi capirai (solo da morto) i Tre Allegri Ragazzi Morti hanno giocato una carta importante, con un pezzo che ripete un ostinato vocale per cinque minuti. La potenza di questo brano sta nel delirio strumentale che sorregge l’insistente voce di Toffolo, ennesima conferma della caratura musicale di Sindacato dei sogni.
L’ennesimo centro nella loro lunga storia.
I Tre Allegri Ragazzi Morti hanno l’eccezionale capacità , ad ogni punto fermo che appongono, di guardare contemporaneamente alla loro storia e in avanti, rinnovandosi sempre nel segno di una maturità artistica ormai da tempo pienamente raggiunta. Non sempre in tre, non più ragazzi, ma sempre allegri, nel senso più originario della parola, cioè alacri, vivaci, vivi.