James Blake, con il suo quarto album, comincia a tradire impronte di positività e calore
Arrivato al suo quarto album, con alle spalle una carriera di ormai quasi dieci anni, James Blake decide di creare un album che è un po’ tutto, e niente. Un album nel quale la sua figura decide di emergere chiaramente, prima di tutto in copertina, e poi nella voce, che si ode ora chiara, non mascherata, poco alterata. Una figura sempre più consapevole e, come è normale, sempre più artisticamente cosciente.
Il cantante parte dall’idea dell’indeterminatezza e della inconsistenza del mondo in cui viviamo (cioè, ovviamente, anche il mondo digitale) per affermare sé stesso e le proprie dimensioni, fisiche e individuali, in esso. Da qui Assume Form (“assumere forma”): trovare sostanza, riconoscere i propri confini e capire la propria direzione.
Assume Form è un disco maturo che affronta temi adulti come le indecisioni in una relazione (Are You in Love?), il riconoscimento e superamento dei propri sbagli (Power On), il rifiuto di negarsi al mondo (Don’t Miss It). In questo senso, il quarto album di James Blake è, anche a livello sonoro, un album aperto, con vari momenti positivi che contrastano con il nichilismo compositivo dei suoi primi lavori. Le canzoni, nella loro totalità, esprimono il chiaro desiderio dell’individuo di imparare dai propri errori, fare tesoro delle lezioni apprese, dare il tempo alle proprie ferite di rimarginarsi.
“Don’t you know your best side shows when you’re unaware?”
“Non sai che il tuo lato migliore si mostra quando non te ne accorgi?” – Assume Form
Il disco sperimenta ancora, a modo suo, ma non disdegna qualche regalo all’ascoltatore casuale
A questo tipo di apertura, segue un avvicinamento ai generi musicali più pop, come la trap, e la collaborazione con artisti rinomati come Travis Scott, Rosalia, Moses Sumney e André 3000. I risultati sono tracce tra le migliori del disco, come la claustrofobica Mile High, Tell Them (con un arrangiamento arabeggiante), e l’inserto hip-hop di Where’s the Catch. Tra tutte, la migliore rimane comunque Power On, anche se sono certo da segnalare l’esperimento psichedelico di Can’t Believe the Way We Flow, e la conclusiva paranoica Lullaby for My Insomniac, che si spiega da sola.
Certo è, quindi, che con Assume Form il nostro James Blake intende superare il fantasma di sé stesso, assieme alle proprie paure ed inquietudini, in un percorso di riscoperta personale. Nel farlo, ovviamente, non si dimentica delle “ombre” attorno a lui: la musica è più che mai stratificata, colma di sfumature sonore, che dall’elettronica post-dubstep conducono ad arrangiamenti classicheggianti, fino ad una sorta di blue-eyed soul rivisitato per l’utente musicale moderno.
In questo senso Assume Form va visto come un’emersione dalla superficie grigia di una musica, quella del passato di James Blake, più minimalista e intimista, serrata e in qualche modo soffocante. Invece, Assume Form intende timidamente lasciare spazio a nuovi mondi musicali, costruendo su quelli che già l’artista inglese conosce, e dai quali emerge.