Lo Spirito che Suona – Intervista ai Cor Veleno

Cor Veleno
Cor Veleno
Condividi l'articolo

I Cor Veleno tornano a calcare i palchi con Lo Spirito che Suona Tour.

A pochi giorni dalla fine dell’anno, generalmente si cominciano a tirare le somme. Il panorama nazionale del 2018 è costellato di uscite musicali interessanti e possiamo affermare, senza timore di smentita, che Lo Spirito che Suona rientra sicuramente tra le prime 10.

A tre anni esatti dalla sua scomparsa, i Cor Veleno ci ricordano con il singolo Una Rima Una Jam (vedi anche Spigne! (2008)) che lo spirito di Primo Brown suona ancora. E riecheggia attraverso la sua musica.

In occasione della data zero del loro nuovo tour, al Beat cafè di San Salvo (CH), abbiamo fatto una chiacchierata con Dj Squarta e Grandi Numeri.

– Ciao ragazzi! Grazie per essere qui. Vorrei cominciare chiedendovi, cosa si prova a tornare in scena dopo tanto tempo?

GN: Grazie a te. Beh, è per noi è stato uno stop funzionale, perché è dipeso da un sacco di cose più grandi di noi. Nel tempo non abbiamo comunque mai smesso di fare musica. Squarta ha tirato fuori dei progetti alternativi… uno era Come Il Re Leone di Cranio Randagio (uscito un mese fa); l’altro progetto – che ha avuto il giusto e meritato risalto negli ultimi anni – è stato quello di Mezzosangue. Per quel che mi riguarda, ho fatto un percorso di “ricerca” su alcune sonorità che mi interessavano. Mi sono spostato in Sudamerica per un periodo. Ho provato a muovermi al di là dei paletti musicali che, volente o nolente, conosciamo tutti. Ogni tanto è bello IMMERGERSI (e non solo affacciarsi) in qualcosa di nuovo. Ho fatto questa “scuola del ritmo”, come la chiamo io, sulla costa caraibica colombiana. E’ stata un’esperienza unica.

– Wow! Quindi cosa dobbiamo aspettarci da questo tour?

GN: Sicuramente, una buona parte della musica nuova. Quella presente nello Spirito che Suona, composta insieme a Primo e che abbiamo messo in stand-by per un periodo. Abbiamo deciso di riaprire il progetto solo quando ci siamo sentiti pronti. In più, la formula è quella della formazione storica. Se vedi il live, noterai che Primo è presente. Ci saranno anche degli ospiti che ci accompagneranno fisicamente e musicalmente – a seconda delle date. Stasera è la data zero, è tutto un po’ una prova, è tutto una messa a punto di cose che abbiamo già immaginato.

– Quindi vedremo anche gli artisti che hanno collaborato con voi. Tu invece cosa ti aspetti da questo tour?

GN: Io? Non mi aspetto un cazzo, fondamentalmente. Ho bisogno di fare musica in una certa maniera, che è quella che mi dà groove. Devo sentire che quello che fa la musica oggi sia parte di un percorso che è vivo, è sul palco. Abbiamo bisogno anche di confrontarci, è parte del gioco.

Abbiamo lavorato con tantissimi artisti sull’album: da Giuliano Sangiorgi a Roy Paci, Johnny Marsiglia – che è un MC pazzesco – fino a Madman, Coez, Gemitaiz. L’obiettivo di fondo dell’album è anche la partita a dadi che portiamo sul palcoscenico. Siamo molto fiduciosi di quello che è il nostro background, la nostra musica, il nostro sound. Squarta ha fatto un lavoro pazzesco assieme a Gabbo Centofanti nell’arrangiamento e credo che, allo stato attuale, sia il tipo di live che manca nella scena rap italiana. Non perché sia alternativo o più importante di quello che già c’è, ma perché a mio avviso copre uno spazio che deve essere portato in scena.

– Hai parlato del disco e del fatto che avete collaborato con tanti artisti. Nello Spirito che Suona c’è parecchia contaminazione. Qual è il criterio avete seguito per scegliere quale artista dovesse partecipare al progetto o meno?

GN: Il criterio, se posso essere sincero, è anche abbastanza contemporaneo. Avevamo riaperto le macchine in studio e si è sparsa la voce. Squarta ed io abbiamo mandato un paio di vocali agli amici che ci interessava coinvolgere. La voce è arrivata anche ad altri artisti che c’hanno detto: “Oh, guarda che io ci sto, basta che mi dai un beat, qualcosa, e vengo subito“. Questo più o meno è stato il percorso: abbastanza “casareccio”, non filtrato. Anche perché a questo abbiamo deciso di gestire il disco direttamente da Rugbeats, lo studio di Squarta.

Molti artisti non hanno fatto in tempo a partecipare: chi era in tour, chi era in studio a registrare il disco nuovo. Non sempre è facile combinare i tempi. Magari in futuro riusciremo a coinvolgere tutte le persone interessate, ma dovevamo chiudere il disco, altrimenti l’avremmo finito nel 2020 , questo te lo posso dire onestamente. Abbiamo visto quanto alto poteva essere il livello delle forze messe in campo, ma alla fine devi anche decidere di rinunciare a qualcosa, perché d in fondo hai già un’idea definita di dove vuoi portare il disco. Se lo vuoi portare in giro, gli vuoi far fare tutte le strade di provincia, le autostrade, le montagne….non arrivi mai.

– Si perderebbe il messaggio.

Infatti. Diciamo che noi abbiamo scelto di fare una tangenziale tra tutti i generi.

LEGGI ANCHE:  Monografia Refn: Valhalla Rising - Recensione

– In che modo questo ha influenzato il vostro modo di produrre e di comporre?

GN: Penso che il desiderio di Squarta fosse quello di dare un sound che, anche a livello di strofe di Primo (e anche delle mie), fosse un po’ inedito. E quindi è il sound creato dagli artisti in studio che ha determinato il nostro. Nella fattispecie, se senti Niente in Cambio e Lo Spirito Che Suona, due brani dove c’è Giuliano dei Negramaro, lui si è messo completamente al servizio del sound che ha sentito appena entrato in studio.

E’ venuto a prendermi in macchina, arrivati in studio ha sentito un brano, – che è quello che dà il titolo al disco – e l’ha registrato tutto in pochissimo tempo, penso una quarantina di minuti. Ha scritto tutto là. E il suo vulcano creativo che è esploso. Fatto sta che dopo aver sentito un’altra traccia del disco, il singolo Niente in Cambio, ha voluto cantarci su, nonostante gli avessimo detto: “Guarda, questo è il primo singolo che esce dell’album“. In linea di massima, è stato un rito collettivo. Tutti quanti hanno dato il massimo, forse anche di più, per rendere omaggio alla figura di Primo, che è un artista che ha dato tantissimo. Magari ha raccolto meno di quello che avrebbe potuto ricevere in vita, ma lui l’ha fatto sempre così, non aspettandosi Niente in Cambio, proprio come il nome della traccia.

E fa parte della nostra incoscienza di fare musica, che è quella ci accompagna da quando abbiamo iniziato. Quando abbiamo cominciato non c’erano case discografiche o management o booking che stavano aspettando rapper italiani di quel tipo. Quindi, dà un lato, ci siamo trovati una strada aperta, a 360°. Questa nostra incoscienza ha fatto si che potessimo avere lo spazio che cercavamo. Ad oggi, l’incoscienza è la stessa che avevamo dall’inizio.

– Non è cambiato niente quindi.

No, è svincolata da quelli che sono gli algoritmi della musica, le regole imposte, i pregiudizi.

– E anche per questo che venite considerati dei big del rap, si è creata una sorta di mitologia per quanto riguarda i Cor Veleno proprio per questo.

GN: Guarda, Big è una cosa che dici te. Io preferisco essere Big per me. Non per guardare tutto dall’altro in basso, no, ma perché ho bisogno di cercare risorse giorno per giorno. E’ un lavoro forse difficile, ma che può darti tantissimo. C’è un investimento che ognuno di noi può fare su se stesso: credere; credere a prescindere da chi hai davanti, da chi tenta di sedurti. In qualsiasi campo e ramo, la maniera migliore per tirarti fuori dalla merda è credere solo in te stesso. Sembra un luogo comune, ma è l’unica ricetta possibile.

– Lo Spirito che Suona è un disco commemorativo, un modo per omaggiare la memoria artistica (e non) di Primo Brown. Ciò nonostante, non suona come un disco nostalgico.

GN: La prima cosa che ci siamo detti nel momento in cui io e Squarta abbiamo deciso che era sacrosanto portare avanti il lavoro cominciato con Primo, è stata “Sì, però non facciamo un disco amarcord, o con l’intento di tirare fuori lacrime“. Non c’è mai interessato un cazzo fare musica così. Per noi è stato: “Ok, facciamo un disco“. Come ti dicevo prima, senza aspettarci nulla. E’ una cosa che farà comunque parte di noi a prescindere di come sarà recepita dalla gente. Lo facciamo con tutto quello che abbiamo dentro. Col cuore, perché non ti nascondo che sia stato un esercizio molto doloroso, portare ad un livello così profondo di sintesi emotiva tutto quello che è stato l’ultimo periodo della band. E’ stato molto difficile.

Con Squarta abbiamo trovato la strada, ce l’ha indicata Primo nel percorso che hanno preso i pezzi stessi che avevamo riaperto. Quindi non volevamo un’operazione ruffiana: niente amarcord, niente sentimentalismi indotti. Solamente raccontare noi stessi, con i mezzi a nostra disposizione. E se le lacrime sono scese, scendono dal vivo, o scendono dal momento in cui si ascolta il disco per la prima volta o la centesima, è frutto soltanto di come sono le cose. Non abbiamo sentito il bisogno di aggiungere nulla a qualcosa che era già là dentro.

– Quindi quali sono le state la maggiori difficoltà che avete incontrato?

DjS: Beh, la parte emotiva sicuramente, specialmente nel primo periodo in cui eravamo in studio. Poi è stato più facile, ma nella prima parte sentire l’assenza di un amico, di un fratello che non c’è più, è tosta. Dopo ti accorgi, che tutto quadra, un po’ come un quadro che per magia si compone. Da lì in poi è andata rotolando in discesa. Ognuno ha il suo modo per superare certe cose. La musica per noi era la cosa più logica, forse.

LEGGI ANCHE:  I Sigur Rós e l'importanza dei testi

Quando poi abbiamo fatto sentire i primi pezzi al papà di Primo, Mauro, ci ha guardato e ci ha detto: “Da paura, bene“. Li si sono sciolti i nodi e abbiamo proseguito con la quinta. Il suo OK è stato importante.

– Dicevamo prima che siete considerati un po’ i Big del genere, anche se Grandi Numeri non vuole sentirselo dire. Avete sempre fatto quello che volevate, non vi siete mai piegati alle logiche del mercato. Non vi sentite una sorta di peso addosso, dovuto al dover mantenere questa sorta di “integrità”?

DjS: No, e “integrità” mi sta pure un po’ antipatica come parola perché sembra che tu lo faccia apposta, ad uscire da certi confini. Invece noi abbiamo sempre fatto quello che volevamo: canzoni più dure, più morbide, d’amore, lente, veloci, elettroniche, acustiche, perché veramente non ce lo sentiamo sto peso. Abbiamo cominciato che eravamo piccoli. Ed eravamo pochi. Quindi noi, insieme a tanti altri, abbiamo buttato il cemento per questa strada. Però Big no, né tantomeno sento alcun peso.

GN: Che poi a volte, chi ci tiene troppo al ruolo di “integro”, con i tempi che corrono, forse è soltanto un poser a cui non hanno detto di esserlo. A noi di questa cosa non ce ne mai fregato. Anzi, quel peso di cui parlavi, è stato soprattutto il fatto di voler essere naturali. Quando uno è se stesso, fa molta più fatica. La spontaneità si riconosce, ed è questo che mette in difficoltà tanta gente. Per fortuna nel nostro percorso abbiamo incontrato un sacco di gente che ha deciso di supportare quest’ottica. Il vestito che tanto ti preme tenere addosso, levatalo. Anzi, mettiti a nudo. Chi cazzo sei? Tu sei questa persona. La gente riesce a tradurre tutto questo, tutti i messaggi che tu mandi, come i flash di uno specchio. Ti ritrovi in quello che senti. E’ questa è la cosa più bella.

– Certo. Abbiamo parlato del tour, abbiamo parlato del disco e visto che siete nella scena da un po’, vorrei il vostro parere sulla scena rap di oggi. Cosa NON vi piace?

DjS: Ti posso dire quello che ci piace? Vedere artisti che sono partiti da zero e che ora sono sui palchi più grandi, a fare live pieni di gente, facendo tutto con le loro risorse senza chiedere niente a nessuno. Alcuni sono amici, li seguiamo da sempre, ed è una soddisfazione grandissima vedere tutto questo riscontro artistico e personale. E’ bello vedere che c’è il giusto spazio su un genere che ha costruito piano piano.

GN: Sì, ha costruito, ma ad un certo punto ha dovuto decidere anche di passare ad un’occupazione vera e propria. Ormai il rap ha sdoganato per la forza stessa degli artisti che si sono messi a fare musica differentemente da quello che il mercato riteneva musica rap, mettendo dentro l’ingrediente segreto, quello che dici “Ma coma cazzo cucina quello? Cucina meglio degli altri!”. Ecco, ognuno di noi ha fatto questo.

Mi riallaccio al discorso per dirti cosa a me non piace. Ci sono tanti artisti che fanno musica rap. Quello che non mi piace è quando vedo i nuovi, i nuovissimi, proprio acerbi, di quelli che utilizzano i social per arrivare al più ampio pubblico possible e finiscono per essere la copia di mille copie. Vorrei dare loro un consiglio spassionato: non imitate quelli che vi piacciono, tirate fuori quello che avete dentro, quello che avete da dire, perché quella sarà la chiave del vostro successo. Non copiare quello che pensate piaccia alla gente. Ed è un motivo per cui l’incoscienza di prima è fondamentale: se ragioni troppo su quello che vuoi mettere su musica, magari sì, avrai un buon riscontro, non sarai mai in technicolor. Sarai sempre una copia, della copia, della copia. Anche Primo su questo ci ha sbattuto tanto…non serve! Nel rap hai tante possibilità, anche se magari non hai mai preso uno strumento in mano o suonato al conservatorio. Sii te stesso, che è la cosa migliore.

– Vi ringrazio, siete stati…esaustivi (ride). A questo punto vi chiedo di suggerire due dischi ai lettori della scimmiapensa.com.

DjS: L’ultimo disco di Mezzosangue, sicuramente. Io ho prodotto il disco prima, e quest’ultimo è pieno di cose belle. Si sente che è un artista che sta crescendo moltissimo e che ha ancora da dire un sacco di cose.

GN: Io ti direi, per quelli che non l’hanno fatto ancora, di ascoltare Lo Spirito Che Suona. Nel rap sono tante le storie che vanno ascoltate poi. Credo che in cantiere ci siano un paio di album che faranno parlare molto di loro nei prossimi mesi. Due artisti di questi hanno partecipato anche al prossimo singolo che sta per uscire (è uscito la notte di Capodanno): Coez e Gemitaiz.


Continuate a seguirci sulla nostra pagina Facebook ufficiale, La Scimmia sente, la Scimmia fa.