Dopo una brevissima promo è stato rilasciato il nuovo film/episodio di Black Mirror, Bandersnatch. Scritto dal solito Charlie Brooker e diretto dal regista di Metalhead, Bandersnatch è il primo episodio interattivo in tutto e per tutto, come un vero videogioco. La storia è ambientata nel 1984, all’alba dell’era del gaming. Un giovane programmatore con disturbi psicologici decide di creare un videogame ispirato da un libro dal nome Bandersnatch, una sorta di racconto ramificato a seconda delle scelte del lettore.
Ad accogliere la sua proposta è la Tuckergames, dove lavora anche Colin, giovanissimo guru dei videogiochi che ha recententemente sviluppato un prodotto di successo dal nome Metalhead (e sul citazionismo torniamo dopo). Qui la prima e vera scelta, l’utente è chiamato a decidere se far lavorare il gamer in gruppo o da solo, accentuando il suo stato di straniamento portandolo a essere ossessionato dalle scelte.
Black Mirror Bandersnatch: l’interattività è veramente il futuro?
Forse sì, forse no, ma in questo caso decisamente no. Bandersnatch non manca assolutamente di originalità, è un prodotto veramente ambizioso che tenta di conciliare gaming e intrattenimento audiovisivo, ma certamente non è il futuro delle serie televisive. Riesce bene nel coniugare l’idea molto presente in videogiochi come The Walking Dead della Telltale o Detroit become human al prodotto cinematografico, ma lasciando che delle scelte diventino ininfluenti. Il nuovo episodio di Black Mirror può essere letto come una grande provocazione: quando l’utente si sostituisce allo sceneggiatore il guaio è assicurato. Per averne la controprova abbiamo provato ad effettuare le scelte più assurde, quelle più insensate fino ad arrivare al contraddittorio.
Al contraddittorio, però, non ci si arriva quasi mai perché l’episodio termina quasi subito mostrando le conseguenze delle nostre scelte insensate. È necessario, quindi, tornare indietro e rivalutare la nostra scelta, conformandoci nei fatti alla scelta dello sceneggiatore.
Tecnicamente, invece, l’episodio è ben riuscito e l’idea ben sviluppata. Le scelte non creano intralcio all’esperienza dello spettatore e non si riscontrano bug o malfunzionamenti di alcun tipo. Non si è tartassati eccessivamente da scelte da prendere, anche se alcune possono sembrare ripetitive. In realtà Bandersnatch contiene una sola scelta che ci viene mostrata a poco dall’inizio dell’episodio, effettuata quella tutto il resto è quasi marginale.
Black Mirror: Bandersnatch è un prequel alla serie cult
Bandersnatch non è l’unico episodio di Black Mirror ambientato nel passato, ma è interpretabile come una sorta di prequel alla serie che mette in guardia dalla deriva tecnologica. L’idea alla base della serie di Charlie Brooker è semplice: viene preso un aspetto del nostro modo di vivere, viene gonfiato fino all’esasperazione, ma i protagonisti decidono di continuare a vivere in quell’esagerazione.
Black Mirror non mostra il dark side del progresso per stigmatizzarlo, ma racconta le derive del nostro tempo per mostrare che non c’è altro al di fuori dell’evoluzione umana. L’episodio è ambientato nel 1984, all’alba di quella che sarà la rivoluzione tecnologica e gli eterni tormenti dell’uomo iniziano ad essere incanalati dalla spersonalizzazione che la tecnologia consente.
Il protagonista è allucinato da scenari aberranti, tutti permessi dalla tecnologia in nome del progresso scientifico. Gli spunti di riflessione sarebbero tanti ed interessanti, ma sono – ovviamente – malsviluppati per via dell’interattività dell’episodio. Gli scrittori, evidentemente, hanno preferito planare sugli aspetti concettuali per focalizzarsi sull’esperienza interattiva.
Uno dei marchi di fabbrica della serie che ha fatto innamorare i produttori di Netflix è certamente il citazionismo, rendendo collegati gli episodi autoconcludenti delle varie stagioni. Oltre al già citato Metalhead, i cui robot spietati diventano un videogame creato dalla Tuckergames; c’è un brevissimo accenno a San Junipero (il nome dello studio della psicologa del protagonista) ed un citazionismo fiume verso White Bear.
Il simbolo di White Bear diventa la rappresentazione tangibile del terrore della scelta. Il giovane programmatore è ossessionato dal simbolo a forma di diagramma che rappresenta le scelte che il giocatore deve compiere. Per lui lo sviluppo del videogame diventa un tunnel senza uscita come lo era la tortura sadica del parco White Bear. Il protagonista si sente infatti tormentato, spiato, controllato da qualcuno senza riuscire a capire chi.
Dal punto di vista registico c’è poco da rinfacciare a Bandersnatch: pur essendo un prodotto pensato per il piccolo schermo, la regia è assolutamente di qualità elevata. Grazie a una fotografia molto accurata e a movimenti di camera azzeccati, lo spettatore si troverà assolutamente coinvolto nell’episodio. Netflix, in conclusione, legittimamente osa e chiede i meriti della sua scelta (come il tributo quasi subliminale al finale). La realtà è che Bandersnatch può essere giudicato positivamente solo se interpretato come provocazione, altrimenti è solo un divertente giochino. A noi piace pensarlo come un’ottima provocazione, un prodotto di qualità che fa del suo essere interattivo un ottimo spunto.