Un mondo distopico, una realtà da scoprire e un'identità da capire. Ecco 7 curiosità su The Matrix, il primo capitolo della trilogia creata dalle sorelle Wachowski
Ci sono film che rimangono nella storia del cinema. Film così forti da diventare un tassello imprescindibile per l’evoluzione tecnica della settima arte.
Uno di questi, senza ombra di dubbio, è The Matrix (Matrix per il pubblico italiano, stasera alle 21.07 su Canale 20) del 1999 realizzato dagli allora fratelli Andy e Larry Wachowsky (prima di diventare le sorelle Lana e Lilly). 4 Oscar e più volte citato o ripreso in altre opere, The Matrix ha aperto nuove frontiere nella tecnica cinematografica a partire dal “bullet time”. Un effetto speciale che, sfruttando simultaneamente un gran numero di fotocamere, disposte introno ad un oggetto o una persona, permette di ricostruire, frame dopo frame, la medesima scena e riprodurla al rallentatore. Una tecnica già usata nel 1981 in Kill e Kill Again, ma che, arricchita con la computer grafica 3D e il chroma key, ha reso immortale la scena di Neo intento a schivare i proiettili.
Eppure, fermarsi al solo aspetto tecnico sarebbe ingiusto verso un lavoro che, dal punto di vista della sceneggiatura, ha richiesto 5 anni e mezzo di lavoro. L’idea alla base era piaciuta sin da subito ai produttori, tuttavia non riuscivano a immaginare come potesse essere visivamente il film. Inoltre, chiesero alle Wachowsky nella sceneggiatura più parti esplicative perché nella prima stesura era: “troppo difficile da capire”. Ecco allora che ci furono ben 14 bozze e oltre 600 storyboard, disegnate Steve Skroce e Geofrey Darrow, per far capire ai produttori che avevano in mano una “miniera d’oro”.
Nel mondo, disegnato dalle sorelle Wachowsky, pochi sanno che esistono due realtà. La prima cupa e dolorosa, palcoscenico di un sanguinoso conflitto tra la razza umana e le macchine che dura da troppo tempo. La seconda idilliaca e fasulla, un sogno, o meglio, una menzogna chiamata: Matrix, creata dalle macchine per imprigionare le coscienze degli esseri umani. Quest’ultima è sotto il controllo dell’Agente Smith, intento a vigilare e combatte, per le macchine, contro gli “ospiti” che dal mondo reale entrano in Matrix con l’intento di mostrare alla gente la verità. Per la sopravvivenza della razza umana c’è solo una flebile speranza: L’eletto. Colui in grado di piegare Matrix sotto il suo volere e porre fine a questo conflitto. Questi altri non è che Thomas A. Anderson, alias, Neo.
Tanti sono i testi letterari da cui trae origine The Matrix: Alice nel paese delle meraviglie, L’Odissea, e soprattutto Simulazione e Simulacri di Jean Baudrillaud. Ritenuto essenziale per capire The Matrix, i registi chiesero alla maggior parte del cast e a parte della troupe di leggere il libro. A Keanu Reeves (Neo) venne imposto di leggerlo ancor prima di iniziare a sfogliare la sceneggiatura. Reeves, dopo questo e anche altri tomi indicati dalle Wachowsky, fu capace di capire e spiegare tutte le sfumature filosofiche del film. Chi invece ammise di aver avuto difficoltà a capire questo libro fu Carrie-Anne Moss che nel film impersonò Trinity.
Le scene mozzafiato e i combattimenti spettacolari sono solo un pretesto con cui The Matrix arriva al suo vero tema: l’essenza umana. La debolezza dell’uomo paradossalmente è la chiave della sua forza. Fra i tanti appigli per trovare il coraggio di reagire e combattere, l’umanità si aggrappa al più inconsistente e irrazionale: la speranza, questa incarnata da Neo. Eppure, come tutti, è pur sempre un uomo, impaurito da un futuro incerto, capace di sbagliare e che, davanti ad una scelta, prova la medesima sensazione di insicurezza. Ciononostante dimostra che l’imprevedibilità e l’irrazionalità sono ciò che serve per cambiare il mondo e scegliere quella pillola rossa per “vedere quanto è profonda la tana del Bianconiglio”.
Sull’assegnazione dei ruoli, fin da subito, ci sono tanti dubbi e altrettanti rifiuti, partendo da Neo, il protagonista. La prima scelta dei registi fu Johnny Deep, ma la Warner Bros., non convinta, propose il ruolo a Brad Pitt e Val Kilmer, che però non accettarono. Anche Leonardo Di Caprio rifiutò poiché non convinto del progetto e dell’eccessiva presenza di effetti speciali. Alla fine la scelta si restrinse tra Johnny Deep e Keanu Reeves, con quest’ultimo preferito perché, fin da subito, sembrò aver capito l’essenza del film. Una scelta azzeccatissima con un attore perfetto, tanto bravo che Will Smith lo definì: “Brillante nei panni di Neo”. Anche il Principe di Bell Air fa parte della lunga lista dei no incassati dalla produzione. La motivazione fu perché impegnato a girare Wild Wild West, ma tempo dopo affermò: “Rifiutai perché non ero abbastanza maturo come attore per interpretare un personaggio del genere”.
Anche per il ruolo di Morpheus si pensarono a diversi nomi, tra questi Gary Oldman e Samuel L. Jackson. Ma i panni della guida di Neo vennero affidati a Laurence Fishburne, che definì il suo Morpheus come con mix tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader.
Tra gli attori più apprezzati del film c’è, senza ombra di dubbio, Hugo Weaving, alias Agente Smith. Weaving studiò attentamente la sua parte elaborando anche un accento “neutro” per non sembrare umano, ma nemmeno una macchina. Credibile e abile, nonostante anche per lui ci fu il rischio di non prender parte al film. Infatti, prima venne contattato Jean Reno che, per via degli impegni con il film Godzilla (1998), rispedì al mittente l’offerta.
Anche un calcinaccio può essere una star
Una delle scene più ricche di pathos è l’epica battaglia di Neo e Trinity nella hall di un palazzo. I due danno prova della loro grande maestria con armi e arti marziali annientando uno squadrone di militari in uno scontro spettacolare. Dopo essersi liberati da questo “contrattempo”, Neo e Trinity, come in un normale giorno di lavoro, prendono l’ascensore, e, mentre le porte si chiudono, le telecamere tornano indietro per mostrare quello che rimane della hall. In questa breve inquadratura, un calcinaccio si stacca da uno dei pilastri e si frantuma al suolo, creando una situazione quasi ironica. Tuttavia, la sua caduta fu del tutto casuale, ma, sposandosi bene con quanto avvenuto, venne deciso di tenere la scena così com’era stata girata.
Matrix un plagio?
Nel 1992 Stefano Disegni e Massimo Caviglia crearono Razzi Amari. Un fumetto multimediale da leggere insieme a una musicassetta realizzata dalla band Gruppo Volante dello stesso Disegni. La storia era incentrata su un futuro distopico, in cui la popolazione era sotto il giogo di una dittatura oppressiva creata dalle macchine. Queste controllavano le persone tramite un chip, installato nella mente di ogni neonato, che proiettava l’illusione di vivere in un mondo perfetto. Un fragile equilibrio che si spezza quando uno degli “schiavi” scopre la realtà e fonda una resistenza per combattere le macchine. Gli autori del fumetto notarono una grande somiglianza con Matrix e addirittura pensarono di far causa per plagio: “Un grosso studio legale ci disse che c’erano gli estremi, le Wachowski collezionavano fumetti da tutto il mondo, ma ci volevano un sacco di soldi…”
Parlando di The Matrix non si po’ non pensare ai lunghi cappotti di pelle e gli occhiali da sole. Tuttavia, per realizzare gli abiti dei personaggi, il motto di Kym Barrett, costumista del film, fu: far di necessità virtù. Infatti, Barrett, per via del budget limitato, realizzò il costume di Trinity con PVC a basso costo. Lo stesso trattamento fu riservato al cappotto di Neo, la cui stoffa costava 3 dollari al metro. Diverso invece fu il comportamento riguardo agli iconici occhiali da sole. Questi vennero realizzati da Richard Walker, fondatore dell’azienda Blinde, famosa per realizzare a mano i suoi occhiali. Walker vinse la gara contro colossi come Ray-ban e Arnette grazie alla sua proposta di realizzare gli occhiali basandosi solo sull’inusuale nome dei personaggi. Le Wachowksi rimasero colpite dall’idea, tanto che decisero di portare Walker con loro a Sydney per tutta la durata delle riprese del film.
Quel chiacchierone di Neo
Non è detto che un eletto debba per forza essere di tante parole, e Neo, infatti, non lo è. Prima dell’ultimo discorso che chiude il primo episodio della fortunata trilogia, Keanu Reeves non pronuncia mai più di 5 frasi di fila. Inoltre, nei primi 45 minuti del film, su un totale di 80 battute, il 44% sono solo domande, per una media di una al minuto. Ciò, in ogni caso, nulla toglie ad un’interpretazione eccezionale da parte di Keanu Reeves. Capace anche di farsi anche da stuntman quando scavalca la finestra e inizia a camminare sul cornicione del 34esimo piano di un palazzo.
Verde, Blu e Giallo: altro che Picasso
I colori nel cinema sono essenziali. Una specifica tonalità all’interno di un frame è capace di infondere nello spettatore una determinata sensazione. Un dato non passato inosservato alle Wachowski che hanno utilizzato i colori per distinguere i vari livelli di narrazione della storia. Nelle scene ambientate all’interno di Matrix la gradazione che predomina è il verde, come se le azioni venissero guardate attraverso il monitor del computer. Il senso di pericolo e oscurità sprigionati da questo colore incarnano a pieno la sensazione del mondo fittizio creato dalle macchine. Diversa invece è la tonalità usata per le scene che avvengono nella realtà, ossia il blu che trasmette melanconia e freddezza. Un’immagine perfetta per descrivere nella realtà dove gli uomini sono soggiogati dall’intelligenza artificiale. Il giallo, che da insicurezza, invece è usato nel mondo intermedio tra realtà e Matrix quando Morpheus addestra Neo alle arti marziali.
Matrix a scuola con Jachie Chan
Grande attenzione durante la realizzazione del film è stata data alle arti marziali. Per coordinare e creare le coreografie dei combattimenti le sorelle Wachowsky volevano solo un nome: il leggendario Woo-Ping Yuen, che però non voleva lavorare al film. Infatti, per far demordere le sorelle, chiese una cifra esorbitante, cachet che, però, venne accettato. Al che Woo-Ping Yuen formulò due richieste, secondo lui, impossibili da soddisfare: il controllo completo dei combattimenti e quattro mesi di allenamento per tutti gli attori. Ancora una volta le sorelle Wachowski accettarono. Tra i tanti stili di combattimenti che Neo apprende, da un programma caricato nella sua mente, c’è anche la “Drunken Boxing”, lo stile dell’ubriaco. Lo stesso modo di combattere usato dal personaggio interpretato da Jackie Chan nel film Drunken Muster (1978), diretto proprio da Woo-Ping Yuen.