Il “cantautorapper” continua a disegnare vignette satiriche con la sua musica e a giocare con le parole. Stavolta però, ne siamo sicuri, piacerà a tutti.
Il “gioco” della scena musicale, per quanto possa essere “meritocratico”, lascia sempre fuori dalla cerchia degli eletti qualche artista più che valido. Cosa manca agli esclusi dal privé? Forse solo un po’ di fortuna e di tempo, o di tempismo, come ci rivela Dutch Nazari nel brano Tutte le direzioni, dal suo ultimo disco Ce lo chiede l’Europa, uscito il 16 novembre 2018.
Avevamo già parlato dei due precedenti lavori di questo “rapper”, decisamente fuori dal comune per due motivi: ammette sinceramente di fare pop, per quanto studiato e contaminato possa essere, e parla sinceramente di tutto ciò che lo circonda, amore compreso, e non di ciò che non ha mai vissuto. Due affermazioni di coraggio dal peso non indifferente. Ma, nonostante la sottile bellezza dei suoi pezzi, Dutch Nazari i biglietti per il privé della nuova scena italiana li ha ricevuti solo qualche mese fa, quando finalmente il grande pubblico si è accorto del fascino quasi poetico della sua delicatezza e dei suoi giochi di parole.
E il suo nuovo disco non va assolutamente incontro ai nuovi ascoltatori, anzi: continua a prendere (e a prendersi) in giro.
L’ironia che contraddistingue la scrittura di Dutch da sempre, rivolta molto spesso a sé stesso ma senza autocommiserazione da adolescente depresso, è anche stavolta uno strumento, e non il fine ultimo. Utilizzata per disegnare prima una fortissima critica sociale e poi un amore rassegnato, in questo album viene incanalata e suddivisa in dodici pezzi fra nuovi amori fieramente immaturi (Lontana tu, Bella per sbaglio) e sincere confessioni sul senso della vita (Mirò, Tutte le direzioni) che ancora vanno a pungere la società nella quale viviamo e dalla quale non possiamo liberarci, governata dal nostro Grande Fratello Orwelliano: l’Europa.
Non che il disco sia un manifesto politico, sia ben chiaro. L’Europa descritta da Dutch (che dà il nome all’intero album) è più un fantomatico sovrano che un’entità reale, eccetto che nella disincantata ma comunque (auto)ironica parentesi di Guarda mamma senza money. L’Europa che regola la nostra vita, che ci schiaccia ma ci chiede di stringerci forte, come se non fossimo più davvero padroni del nostro destino, nel bene o nel male, che ci libera dalla difficoltà della scelta. Proprio per rivendicare questa possibilità di scelta le descrizioni di Dutch si fanno ancora più profonde, personali e intrise di soggettività, anche quando si tratta di squallidi bar di periferia, quasi come tele impressioniste.
Il lavoro sulle basi si conferma ancora una volta impeccabile e indissolubilmente legato alla scrittura.
Sick et Simpliciter, al secolo Luca Patarnello, è l’uomo che sin dal giorno zero lavora ai beats che accompagnano Nazari; stavolta, nonostante si dovesse scontrare con un pubblico più esigente (anche il nuovo pop italiano oramai ha le proprie regole), ha voluto fare di testa propria, conferendo alle tastiere la dolcezza e la vena cantautorale di una chitarra acustica sulla quale puoi suonare solo il giro di Do ma che comunque non risulterà banale. Le basi di Sick sono proprio così: semplici, ma amalgamate perfettamente con i giochi di parole e gli storytelling di Dutch.
Il disco riesce a parlare all’ascoltatore dialogandoci amichevolmente e scherzando sui problemi quotidiani, come farebbe un vecchio amico incontrato al bar. La formula semplicità/soggettività/ironia, come la poesia del Novecento, funziona benissimo, e finalmente qualcuno se n’è accorto. Anche se in realtà ridurla ad una formula non le renderebbe giustizia, perché è l’unico modo che Dutch Nazari conosce di fare musica.