Netflix sta perdendo i pezzi. In Italia se ne sono accorti in pochi (Sky detiene ancora il grosso dell’offerta), ma la realtà è quella di un processo avviato.
Gli effetti più visibili arriveranno solo nei primi mesi del 2019, ma secondo molti siamo già ora all’inizio della fine per il Leviatano di Reed Hastings. Segnarsi la data: marzo 2019. Captain Marvel uscirà in sala, e per la prima volta non sarà caricato su Netflix USA come gli altri Marvel movies. La ragione: entro la fine del prossimo anno, Disney + (pronuncia disney plus) vedrà il suo lancio trionfale in America.
La dipendenza della Disney nei confronti degli imperatori dello streaming è sempre stata inconcepibile per il colosso di Burbank, e la decisione di “mettersi in proprio” non ha sorpreso nessuno. Disney Plus sarà, semplificando, il Netflix del network Disney. Network grande come una galassia, comprensivo dei classici della casa, il MCU, Star Wars, e presto (se, come sembra, arriverà il via libero definitivo alla fusione) l’intero catalogo delle proprietà 21th Century Fox. Disney + costerà di meno, dicono, lo switching cost sarà inesistente, conterrà prodotti più selezionati, sarà il primo vero concorrente di Netflix. Cosa significa?
Disney +, una prima vera alternativa a Netflix
La rivoluzione silenziosa di Disney + comincia nell’estate 2017. Sono i giorni in cui si sta preparando il blitzkrieg per l’acquisizione della Fox, che sarà presentata ufficialmente solo a dicembre. Un periodo delicato, in cui il gigante californiano mira a smarcarsi definitivamente dalle concorrenti e assumere il controllo totale dell’industria cinematografica mondiale. Ma il monopolio della distribuzione casalinga è detenuto da Netflix, a cui la stessa Disney è legata a malincuore da un accordo sigliato nel 2016. E questo non va bene. In un’intervista a Variety dal sapore di conferenza stampa, il boss Bob Iger annuncia dunque il progetto Disney +.
L’uomo chiamato al timone è Ricky Strauss, executive di 50 anni e di poca esperienza nella programmazione (ma le campagne marketing di, per dire, Black Panther, Inside Out o Il Risveglio Della Forza sono sue), ma ritenuto l’uomo giusto per lanciare la secolare società dell’universo dello streaming. Strauss gode della piena fiducia di Iger, grazie a un curriculum, esaminato al microscopio dal New York Times, che commistiona astuzia produttiva e occhio all’etica del franchise.
La parte più difficile per Strauss è la gestione del palinsesto. Si muove la guerra a Netflix, mica alla ABC. Entrano subito in produzione remake (Lilli e il Vagabondo in CGI), serie tv (lo Star Wars da 100 milioni di Jon Fareavu) e contenuti originali, ma la gestione del catalogo resta una gatta da pelare. Disney possiede già il servizio di sport streaming ESPN+ e soprattutto Hulu, acquistato per il 60% via Fox. Ridistribuire i contenuti senza lasciar morire nessun compartimento è complicato, come anche destreggiarsi tra le esclusive (Star Wars è ancora legato a diversi canali via cavo) e le naturali limitazioni Disney (Rated-R ovviamente bandito). Diverse centinaia di milioni di dollari sono già investiti in pre-produzione. Ci si gioca molto.
Netflix, prove di sopravvivenza: il punto sugli Originali
Netflix, nel frattempo, si muove in difesa. Per quanto Amazon Prime o lo stesso Hulu non siano certo dei concorrenti da poco, il trono di padrone incontrastato del VOD del terzo millennio non è stato mai messo in discussione. Stando ai numeri, il colosso è più solido che mai, gli abbonati hanno raggiunto cifre vertiginose, con un boom che non conosce limiti sul mercato extra-americano (importante, ci torniamo). Ma per mantenere il distacco occorre un piano a lungo termine. E qui iniziano i problemi. In patria risulta abbonato a Netflix il 50% degli americani: una cifra folle, che difficilmente aumenterà ulteriormente (anzi ha già causato i primi rallentamenti in borsa, spiega Forbes: il mercato è saturo, la crescita è finita). Bisogna dunque lavorare di contenimento. I tempi in cui ci si poteva garantire l’esclusiva su due terzi delle produzioni sembra finito: con Disney e persino Warner al lavoro sui propri servizi streaming, il catalogo dei prossimi anni andrà limitandosi sempre più. La soluzione ovvia: aumentare gli investimenti sui contenuti originali.
Se le iscrizioni a Netflix hanno dunque rallentato negli ultimi trimestri (rallentamento che presto diventerà congelamento), a godere della massima fortuna sono proprio i famigerati “Netflix Originals”. Che non piacciono a nessuno, ma che tra un algoritmo di proposta azzeccato, un’offerta senza confini e la passiva fedeltà del fruitore costituiscono ad oggi il 34% degli stream. E che dovranno diventare l’arma per convincere questo oceano di utenti a restare. Come il catalogo di vecchi film e serie diminuirà, aumenterà la scelta di originali. Una transizione che Netflix, astutamente, ha avviato da tempo: Roma e i suoi probabili Oscar sono già storia, lo sguardo è rivolto al 2019, a The Irishman, ai 19 miliardi di dollari già stanziati per le nuove offerte. Il bacino economico da cui partire è potenzialmente infinito, superiore di quello di avversari come Disney e Amazon, per le quali lo streaming rappresenta solo una branca dell’attività.
Netflix e il futuro dello streaming. La fine di un monopolio?
Gli scenari che Disney + aprirà rappresentano qualcosa di importante. Presto anche il pubblico più fedele, quello che vede in Netflix il punto d’arrivo della storia del VOD (anziché punto di partenza, come qualunque traguardo informatico è destinato a essere, eterni punti di partenza verso qualcos’altro) dovrà fare i conti con un panorama cambiato. Certo, la fine di Netflix è tutt’altro che prossima, e non è neanche detto che ci sarà.
Nei suoi anni di dominio incontrastato la casa di Los Gatos ha generato anticorpi per ogni tentativo di assalto. La portata di Hulu o di Prime Video non sarà paragonabile a quella che avrà Disney +, ma come banco di prova la superiorità dimostrata qualcosa deve valere. Netflix ha avuto la rivoluzionaria intuizione di comprendere l’importanza di un’offerta globalizzata, quando il resto di Hollywood (Disney inclusa) ancora conta gli spiccioli del mercato domestic. Per Netflix ogni bacino è un potenziale mercato vergine, e la proliferazione di serie e film originali provenienti dai quattro angoli del mondo (35 co-produzioni straniere nel 2018, 100 previste nel 2019) costituisce forse lo scarto maggiore in termini produttivi con ciò che c’è stato prima.
Netflix ha un’arma nella sua fan base
In questi anni Netflix ha creato una forma di fidelizzazione mai vista prima, al limite del religioso: potenze del marketing, delle offerte al ribasso (in termini di convenienza, nulla del genere si è mai visto), e del famoso algoritmo, che ha agganciato 140 milioni di persone legandole al rito della visione continua, protratta fino al patologico (e si comincia a parlare delle prime “dipendenze”). Netflix non perderà tanto presto il proprio pubblico, perché a Netflix siamo legati come a qualcosa di acquisito, come al telefono o al frigorifero. E pensare che tre anni fa non ce l’aveva nessuno.
D’altra parte, Ted Sarandos e compagni sanno di combattere una guerra a perdere. Al contrario delle concorrenti, aziende ramificate in vari settori, Netflix dipende esclusivamente dalla propria offerta: per una società che fa dell’occupazione di spazi e dell’offerta bulimica il proprio punto di forza, ogni contenuto perso è un danno. Nei suoi anni rampanti (che sono questi, val la pena ricordarlo) Netflix ha beneficiato del suo essere l’unico detentore di offerta a fronte di una domanda che, a sorpresa, si è rivelata spropositata. Ora quel periodo di monopolio è agli ultimi fuochi, e l’industria si appresta a rendere mainstream un servizio finora detenuto da un solo privato.
Forse il destino di Netflix è quello di passare alla storia alla stregua dei grandi innovatori informatici di questo millennio: Napster per il peer to peer, My Space per i social media, Netflix per lo streaming. Pionieri nell’offrire al mondo qualcosa di mai visto prima, biologicamente spacciati nel momento in cui il monopolio si è disgregato in un’infinità di alternative minori. Oppure Netflix non crollerà mai, e la superiorità dimostrata in questi anni non farà che aumentare il distacco dalle mille realtà che proveranno a seguirne la scia. Captain Marvel esce a maggio. In estate, sapremo.