La ballata di Buster Scruggs è l’ultimo lavoro dei fratelli Coen.
Insieme a Roma e The other side of the wind sta contribuendo a ridefinire il ruolo di Netflix nell’ambito della grande produzione cinematografica. I Coen infatti non rinunciano alla loro poetica nel progetto per la piattaforma streaming, puntando su un’opera in cui il loro linguaggio si è espresso al meglio. Riducendo i movimenti di macchina al minimo, hanno giocato tutto sulla ricercatezza quasi maniacale della geometria e dei colori nelle inquadrature. Premiato inoltre per la miglior sceneggiatura a Venezia, si inserisce perfettamente nella produzione dei due fratelli: una scrittura ed una messa in scena da grande cinema d’autore.
I personaggi dei sei capitoli non sono dissimili dai protagonisti delle pellicole coeniane. Ognuna delle sei storie racconta della parabola discendente di un personaggio mosso dall’ambizione. Personaggi ritratti a tinte rapide ma sicure, che ci ricordano gli uomini allo sbando protagonisti di Fargo, A serious man, Crocevia della morte e molti altri. Con loro i protagonisti de La ballata condividono l’assenza di una direzione esistenziale. Come anche ne L’uomo che non c’era, con cui la seconda storia condivide anche il tema della giustizia e della sua problematica ed ambigua risoluzione.
Un lavoro coerente quindi con il cinema dei Coen, nonché occasione di tornare sul genere western.
Genere già esplorato con Il grinta, il western è l’ambientazione di sfondo su cui si muovono le storie e gli ambienti di questa grande giostra. La ballata di Buster Scruggs inizia con il quadro, tra tutti, più western. Abbiamo Buster Scruggs, canterino cowboy fuorilegge, che attraversa la Mountain Valley. La sua ambizione è pura, senza un oggetto secondario. Vuole solo primeggiare sul prossimo, benché all’inizio dichiari di non avere niente contro chi capita sulla sua strada.
Agonismo che lo porta inesorabilmente alla morte. In duello, topos fondamentale e centrale del genere western, interpretato con gusto dai Coen. Per le tinte ocra e sabbia potrebbe ricordare qualsiasi duello dei grandi classici, ma i due fratelli cercano di esasperare la già ampia profondità di campo che caratterizza questo tipo di inquadrature. L’avversario di Scruggs è davanti una strada che idealmente prolunga ancor di più lo sguardo verso l’orizzonte e accenna ad una verticalità verso il cielo. Come un simbolo della fittizia superiorità del cowboy, che in realtà crolla subito di fronte al pistolero più veloce, ma anche della distanza che separa la Terra greve ed arida dai cieli a cui Buster Scruggs ascende.
Lo schema fondamentale che lega i sei episodi è quindi presentato nel primo,
che rappresenta allo stesso tempo un preludio, un manifesto dell’opera e una struttura fondante. Infatti, mentre sale in Paradiso accompagnato dalla lira, Buster Scruggs canta:
When they wrap my body In the thin linen sheet, And they take my six irons Pull the boots from my feet, Unsaddle my pony She’ll be itching to roam, I’ll be half way to heaven Under horse power of my own.
Quando mi avvolgeranno in un sottile lenzuolo di lino e prenderanno la mia sei colpi e mi toglieranno gli stivali dai piedi, disarcionate il mio pony vorrà farsi un giro, sarò a metà strada verso il paradiso senza bisogno di un cavallo.
Il canto di addio di Buster Scruggs può essere esteso a tutta la pellicola. Ognuna delle altre storie può essere vista come una strofa della ballata che Buster Scruggs intona lasciando la Terra verso il Paradiso.
“Dev’esserci un posto nell’aldilà dove gli uomini non sono carogne e a poker non si bara. Se non ci fosse, di cosa parlerebbero le canzoni?”
Le ultime parole di Scruggs aggiungono il motivo della speranza: disillusa nella vita terrena e proiettata verso l’aldilà. Così tutto il film è una grossa ballata, che ripropone questi motivi giocando sulla variazione di alcuni parametri: il caso, la vendetta, la fortuna. Sempre infelice e ineluttabile è però la fine dei protagonisti.
Cinque racconti di morte e sopraffazione.
Se i primi due episodi sono fotograficamente molto coerenti, e ricchi di stilemi western come l’abbondanza di piani americani, nel terzo c’è una virata consistente. La palette di colori più fredda e tutta imperniata su toni di blu e verde preannuncia un cambio importante d’atmosfera. Mentre i primi due protagonisti vanno incontro ad un destino che vendica le loro malefatte, in modo grottesco e ironico, il terzo episodio ci racconta della fine di uno sventurato.
Assistiamo diverse volte ad una piece inscenata da uno storpio e al progressivo insuccesso a cui l’avaro impresario deve far fronte. In questo caso l’ambizione di un personaggio secondario si ripercuote sul protagonista, sfruttato e poi barbaramente eliminato. Senza dubbio il quadro più intimo, fatto quasi solo di primi piani dell’attore mutilo e di ambienti più cupi ed angusti.
Il quarto torna invece ad ambientazioni più tipicamente western.
Il verde è il filo conduttore di un sapiente gioco di luce. Prima spento simbolo di speranza disincantata, ora risplende in una valle inondata dal sole, dipinta per campi lunghissimi. Ciò conferma l’attenzione che i Coen hanno dedicato alle immagini e alla loro costruzione. In questa valle torniamo ad uno dei miti western per eccellenza. Un ricercatore d’oro ossessionato dal prezioso metallo sembra rovesciare le sorti dei rapporti di forza su cui si basa il film. Sembra sconfiggere la morte, vincere la sua ambizione e sopravvivergli.
Il quinto episodio ci conferma invece che c’è un destino ineffabile che accomuna tutti. L’ultimo dogma del west, la frontiera, è l’ultima strofa della ballata di Buster Scruggs. Ci spingiamo verso i confini, sempre con campi ampissimi, ma con una fotografia che torna verso i primi due capitoli. Come a celare un tentativo di compattare la forma rapsodica della pellicola, a darle un aspetto più strutturato e coerente.
Il sesto episodio è certamente più enigmatico dei precedenti.
Se infatti i cinque capitoli, ognuno particolare e diverso dall’altro, sono ugualmente chiari nella narrazione, il finale ha una struttura completamente diversa. The mortal ramains ci racconta il viaggio di una diligenza che trasporta cinque persone e il cadavere di un irlandese. Seguiamo la discussione dei cinque personaggi in una luce progressivamente più crepuscolare, finché il cocchiere non decide di fermarsi.
La carrozza si ferma ad un albergo dall’atmosfera tutt’altro che rassicurante. Se infatti il macabro nelle cinque storie risiede nella morte di un personaggio, qui permea il clima di tutto l’episodio. Può essere visto come la conclusione allegorica di tutto il film. Il cocchiere è una sorta di traghettatore di anime, che trasporta i morti verso l’aldilà. Anime non ancora meritevoli del Paradiso, che si trova in cima alla scalinata inondata di luce, ma di un posto dove dovranno stare provvisoriamente: il buio e fatiscente albergo dove si sono fermati, simbolo del purgatorio. E non a caso le anime sono cinque come i protagonisti della pellicola. Il grandangolo però ci avvicina ai cieli, molto meno distanti che nei duelli di Buster Scruggs.
Il western è solo l’ennesimo paradigma cinematografico preso in prestito dai Coen.
Fornisce ai due autori storie di cupidigia e ambizione che si scontrano con la brutalità dell’uomo e della giustizia terrena. Forse in questo risiede un contrasto voluto tra un’estetica registica encomiabile e una sceneggiatura discontinua. Così il film trasmuta quasi in una metafora artistica. Ogni storia è un tentativo di ricominciare da capo una narrazione che si interrompe sempre bruscamente. Ogni episodio è ipoteticamente un magnifico film che però si interrompe, per tentare di rinascere in un nuovo esperimento altrettanto fallace. Quasi che il western sia solo un pretesto per indagare la finzione alla base della pellicola ed elaborarne ampie digressioni, come in Ave Cesare!.
Non sarà un caso se i Coen hanno deciso di tentare un approccio alla forma antologica proprio in una distribuzione Netflix, famosa per le serie televisive. I due registi hanno dichiarato infatti che originariamente il soggetto era stato concepito come una serie. La forma ad episodi ha permesso loro di miscelare diversi ingredienti e intenzioni. Da un lato la perfetta composizione delle immagini è una dimostrazione di grande cinema. Allo stesso tempo la narrazione frammentata è quasi un esperimento televisivo, e si avvicina al genere principe di Netflix, per il quale la pellicola è destinata. E in tutto ciò i Coen hanno quasi sfiorato il metacinematografico, ponendosi sulla soglia del rapporto tra produzione e distribuzione, e rappresentando velatamente un sistema-arte in cui sono riusciti a calarsi alla perfezione.