Il 12 Ottobre era arrivata su Amazon Prime Video la nuova serie targata Matthew Weiner The Romanoffs, che si è conclusa dopo otto puntate pubblicate settimanalmente.
Una bella e piacevole serie passata però in sordina, poiché nessuno o quasi ne ha parlato. Il nome Weiner non dovrebbe suonarvi totalmente nuovo, poiché è colui che fu dietro alle ultime stagioni dei Sopranos, e colui che ha interamente creato e ripreso Mad Men. Insomma due delle serie più belle di sempre.
La tematica, poi, è più che mia particolare e curiosa: otto episodi, centrati attorno a otto diversi personaggi che sono ( o dicono/credono di essere ) diretti discendenti dei Romanov, la grande famiglia reale russa.
L’unica dichiarazione che vi era stata a riguardo era:
set around the globe, centering on separate stories about people who believe themselves to be descendants of the russian royal family
E così è stata. Otto puntate ambientate in giro per il mondo, dall’Austria al Messico , da Parigi a una crociera in mezzo al mare, da new York a Londra. Gli episodi sono a se stanti, e ciò rende la serie molto facile da seguire, e l’unico filo che li collega è che sono ambientati ai giorni nostri, e i personaggi sono tutti collegati dal sottile filo della discendenza o della passione per i Romanov. E lo stesso cast è sorprendente, si rivedono i protagonisti di Mad Men e anche attori come Diane Lane, Ron Livingston, Kathryn Hahn, Janet Montgomery.
La serie è buona, ma risulta drasticamente inferiore ai capolavori citati prima. La mano di Weiner tuttavia è evidente, a partire dalla sigla, uno stupendo rifacimento dell’assassinio della famiglia reale russa con un sottofondo di Tom Petty and The Heartbreakers, con il singolo Refugee.
Le varie puntate sono invece un saliscendi, di cui qualcuna risulta essere un piccolo tesoro, mentre altre sono quasi incomprensibili a livello di sceneggiatura.
La differenza è data dai temi e dall’intensità con cui si vanno ad affrontare, ed è qui che la mano di Weiner diventa importante e da carattere alla serie. The House of Special Purpose è forse l’unica il cui tema alla base non è poi così profondo, ma è talmente coinvolgente e ben scritta che colma di suspense fino alla fine. Le altre cercano tutte, qualcuna in modo più riuscito altre meno, di approfondire temi scottanti nella società attuale. E la bellezza della serie è che nella maggior parte dei casi riesce davvero a far riflettere. Ma andiamo in ordine analizzando brevemente tutte le puntate della serie.
La prima è The Violet Hour, dove troviamo una stupenda Marthe Keller.
L’attrice veste i panni di Anushka La Charnay, discendente diretta dei Romanov, il cui nipote Greg spera insieme alla sua ragazza che la zia muoia presto in modo da ricevere la sua grossa eredità.
Alla rigidissima zia (xenofobica) russa, viene affidata una badante musulmana di nome Hajar, che inizialmente detesta. La zia si rende tuttavia conto man mano della cattiveria del nipote e della sua compagna, e si affeziona invece ad Hajar, andando contro e superando la sua xenofobia. I ruoli si invertono a tal punto da far cambiare testamento ad Anushka in favore di Hajar. La puntata di risolve in modo positivo per tutti poi, ma è interessante vedere il cambiamento dell’anziana e il rapporto fra “bianco” e ciò che è diverso, un comportamento molto diffuso purtroppo ancora al giorno d’oggi. E questo nonostante la grande apertura mentale di Anushka.
Mal costruita, cerca di far riflettere ma senza riuscirci appieno, e la lentezza è talmente pesante da trovarsi costretti a finire la puntata. Abbiamo Michael Romanoff, un noiosissimo uomo di mezza età, che sta affrontando delle sedute di coppia con la moglie Shelley. Durante un weekend in cui lui deve partecipare a un processo come giurato e la moglie è in una crociera a tema Romanov, Michael conosce Michelle, una bella britannica. Riuscirà ad averla con delle tattiche alquanto discutibili, mentre la moglie che in crociera conoscerà un uomo non riuscirà a tradire Michael. Al ritorno la coppia sembra cambiata ma Michael ha in mente un piano ancora più terribile. La puntata si risveglia un po’ nel finale con la vendetta della moglie ma senza lasciare particolarmente soddisfatti.
House of Special Purpose è invece un piccolo capolavoro.
Christina Hendrick è Olivia Rogers, una famosa attrice statunitense chiamata per interpretare Alexandra Feodorovna, la sposa di Nicholas II, in una miniserie austriaca sui Romanov. Olivia è subito infastidita dalla regista della serie, Jacqueline Gerard, che si crede una discendente dei Romanov. Tra continui cambi di produzione e sceneggiature ridicole, Olivia decide ddi scappare dal set e di abbandonare la serie, chiamando disperata il suo agente. In un crescendo di fatti e di suspense si arriva ad un finale spettacolare, che lascia esterrefatti. Da vedere.
L’unica puntata senza un tema di fondo, se non quello del maltrattamento degli attori da parte del regista (in cui Weiner stesso ha detto di vedersi, in quanto preciso e insistente), risulta tuttavia essere la più divertente e coinvolgente: un vero gioiello.
Expectation è la più criptica e lenta puntata dei Romanoffs.
Un peccato, viste le grandi capacità degli attori protagonisti: Amanda Peet e John Slattery, l’amabile Roger Sterling di Mad Men. La puntata è ambientata in una tranquilla quanto irrealistica New York, in cui Julia (Amanda Peet) ed Eric stano per diventare nonni. Si scopre tuttavia che la figlia di Julia non è figlia del marito , ma di Daniel, il migliore amico di Eric. Daniel si scopre anche essere uno storico dei Romanov, che appare in “The Royal We” come benefattore della crociera ed è anche lo scrittore del romanzo che ha ispirato la miniserie in “House of Special Purpose”. Julia sarà quindi combattuta se dire la verità al marito prima della nascita della nipote. Alquanto noiosa e scontata.
Bright and High Circle è invece una di quelle puntate che, oltre che essere coinvolgenti e ben costruite, fa riflettere.
Abbiamo Katherine Ford, mamma di tre talentuosi bambini pianisti, e David Patton, un bravissimo insegnante di piano omosessuale. Un giorno Katherine scopre che David è stato accusato da qualcuno di comportamento inappropriato e da quel momento parte un calvario. Decide di svolgere lei stessa una piccola indagine, iniziando a rendersi conto di non conoscere veramente la verità su David, ma iniziando a diffondere il panico fra i figli e gli stessi genitori. Anche se le opinioni su David sono nella maggior parte positive Katherine non si ferma e inizia ad infangare la fama di David senza sapere se realmente ha fatto qualcosa o meno. Un ottimo modo di Weiner per dire la sua sull’omosessualità e anche, perché no, sul movimento #MeToo, che ha si ridato voce alle donne ma ha anche rovinato la reputazione di molti quando i fatti non erano ancora nemmeno noti.
Panorama è ambientata in Messico, dove Abel, un giornalista, sta investigando su una clinica per persone facoltose e corrotte che lui suppone effettui trattamenti a base di olio di serpente.
Un giorno incontra però Victoria insieme al piccolo Nicky, malato di emofilia, che risulta essere una discendente della famiglia russa. Da qui nasce un piccolo corteggiamento in giro per Mexico City, con evoluzione del loro rapporto e dell’indagine di Abel. Una piccola storia per raccontare il rapporto con una malattia così difficile su un giovane ragazzo.
End of the Line è la più commovente e intima storia che Weiner potesse raccontare.
Abbiamo Anka e Joe Garner (Kathryn Hahn e Jay R. Ferguson), una coppia che soffre di sterilità, che viaggia fino a Valdivostock per adottare una bambina. Scossi dalla povertà del luogo e dallo stile di vita retrogrado e immerso nel passato del luogo, incontrano Elena, una rigida e stramba assistente sociale, che fai mostra la bambina. La bambina tuttavia è diversa da quella che i coniugi avevano visto nei video e Anka, disturbata dalla faccenda, combatte tra la volontà di essere madre e il rifiuto della bambina malata, che si scopre essere affetta da Sindrome Alcolica Fetale. I coniugi litigano e fra varie vicissitudini si arriva a un finale alquanto dubbio, che lascia un grande input per un’importante riflessione attorno alle difficoltà dell’adozione.
The One that Holds Everything è semplicemente spettacolare; la più intrigante insieme a House of Special Purpose.
Su un treno per Londra, jack, uno sceneggiatore siede di fianco a Candace, una donna che gli racconta la storia di Simon, un ragazzo discendente dei Romanov. Simon quasi morì da bambino in un incendio nella sua casa nel quake morì la madre. L’incendio probabilmente venne volontariamente appiccato da Ondine, la babysitter di Simon con cui il padre andava a letto. A seguito della morte della madre Ondine diventa la donna di casa ed esclude Simon dalla vita di famiglia, che se ne va di casa e un giorno tenta disperatamente il suicidio, in quanto si continuava a sentire escluso dalla società per la sua omosessualità. Viene quindi mandato in un ospedale psichiatrico dove accetta finalmente di essere un transgender. Ma Simon non si è dimenticato i traumi infantili e la sua vendetta sarà feroce. Una moderna fiaba a finale vendicativo, centrata ancora sull’omosessualità, sulle differenze e sull’esclusione.
Registicamente sono tutte ineccepibili: fotografia, sonoro, costumi ed ambientazioni sono sempre affascinanti ed avvolgenti. La durata della singola puntata è quasi sempre superiore all’ora, raggiungendo anche un’ora e mezza di durata. Una serie piacevole, ben costruita e pensata, che si consiglia di guardare per avere un opinione diversa riguardo a molti temi attuali. Inutile nascondere che Weiner non fornisce sempre in modo esplicito la chiave per la risoluzione della puntata, ma spesso i finali sono lasciati asperti o semiaperti, di difficile comprensione ma che obbligano lo spettatore ad una profonda analisi introflessiva.