Villeneuve è uno dei protagonisti del cinema contemporaneo, e Arrival ne è la conferma.
La sua ultima opera, miracoloso sequel di Blade Runner, e il progetto di reboot di Dune, già affrontato da David Lynch, ci parlano del suo amore per la fantascienza. Villeneuve non è però solo un coraggioso interprete della storia di questo filone, ma anche un autore capace di stravolgere il genere. Arrival è il suo personalissimo ed originale contributo ai film fantascientifici.
Basato sul racconto Storia della tua vita di Ted Chiang, Arrival (stasera alle 21:10 su Rai Movie) affronta il tema dello shock culturale provocato dallo sbarco extraterrestre.
Lo shock culturale è un insieme di sintomatologie di ansia, paura, smarrimento e confusione dovute all’incontro con una cultura nuova e, in questo caso, incommensurabilmente distante. L’arrivo degli alieni è però solo il pretesto per sviscerare il tema dell’incomunicabilità.
L’ostacolo principale nella gestione della crisi è l’incapacità dell’uomo di comunicare con questa razza superiore.
Per questo viene interpellata l’esperta linguista Louise Banks, alla quale dà vita la splendida performance di Amy Adams. Ad aiutarla il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner). Il loro scopo è quello di comprendere gli alieni e di farsi comprendere.
Per fare ciò inizialmente cercano di insegnare la propria lingua alle strane creature, per poi finire a studiare il loro complesso sistema di comunicazione per usarlo a loro volta con gli eptapodi. A differenza del linguaggio umano però, lineare e glottografico, quello degli alieni è circolare e semasiografico.
Gli uomini per comunicare utilizzano sistemi linguistici in cui vi è una corrispondenza necessaria tra il parlato e lo scritto. I vocaboli semasiografici sono invece simboli grafici che non sono in funzione del parlato, ma di concetti. In questo risiede la complessità del linguaggio alieno, ed è da questo punto che il film si trasforma in una grande riflessione filosofica sulla lingua, il pensiero e il tempo.
Un approccio quindi kubrickiano al tema.
L’involucro fantascientifico contiene le traiettorie dell’uomo, del suo passato e del suo destino. Come in 2001-Odissea nello spazio avviene l’incontro con una razza superiore che guida l’uomo nello stadio successivo della sua evoluzione.
Del resto le navicelle di Arrival non possono non farci tornare alla mente il monolito nero. Sotto di esso i primati ricevevano il dono dell’intelletto, apprendendo l’esistenza dei rapporti di forza e del dominio tecnico dell’uomo sulla realtà.
Anche in Arrival viene posta l’equazione tra arma e strumento, che preoccupa gli eserciti internazionali alle prese con l’incomprensibile problema.
In realtà Louise riesce a capire che lo strumento che gli alieni offrono all’umanità è proprio la loro lingua. Il postulato di identità tra le strutture del linguaggio e quelle del pensiero, formulato nella sua forma più compiuta nell’ipotesi Sapir-Whorf è la premessa filosofica di questo sviluppo del film:
«La nostra analisi della natura segue linee tracciate dalle nostre lingue madri. Le categorie e le tipologie che individuiamo nel mondo dei fenomeni non le troviamo lì come se stessero davanti agli occhi dell’osservatore; al contrario, il mondo si manifesta in un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere organizzate dalle nostre menti, cioè soprattutto dai sistemi linguistici nelle nostre menti.
Noi tagliamo a pezzi la natura, la organizziamo in concetti, e nel farlo le attribuiamo significati, in gran parte perché siamo parti in causa in un accordo per organizzarla in questo modo; un accordo che resta in piedi all’interno della nostra comunità di linguaggio ed è codificato negli schemi della nostra lingua… tutti gli osservatori non sono guidati dalle stesse prove fisiche verso la stessa immagine dell’universo, a meno che i loro bagagli linguistici siano simili, o possano essere in qualche modo calibrati.»
Ciò significa che la lingua degli eptapodi rappresenta per l’uomo un nuovo modo di poter interpretare la realtà e dominarla.
Da questo punto in poi la forma circolare dei vocaboli extraterrestri si estende in maniera simbolica al resto del film. L’apprendimento di questo linguaggio riprogramma le strutture razionali di Louise fino a renderla in grado di manipolare il tempo in maniera ciclica.
Grazie a questa eredità aliena riesce a scongiurare la crisi mondiale. Infatti, visitando il futuro, apprende dal colonnello cinese le parole da lei stessa usate per convincerlo a non attaccare le creature celesti.
E qui torna ancora il tema della comunicazione con il diverso. Mentre Louise impara la lingua degli eptapodi lo spettatore è partecipe del dialogo, nel quale sempre più simboli vengono sottotitolati.
Della telefonata in cinese noi invece siamo tagliati fuori, non la possiamo comprendere, e non ci è dato di farlo. In questo risvolto Arrival diventa un film rivolto direttamente al suo pubblico, che è obbligato a riflettere su se stesso e a porsi certe domande.
Solo nel finale quindi comprendiamo la struttura temporale del racconto.
“Un tempo pensavo che questo fosse l’inizio della tua storia. La memoria è una cosa strana, non funziona come credevo. Siamo così limitati dal tempo, dal suo ordine.”
Il racconto di Louise sulla storia della nascita, della malattia e della morte della figlia Hannah inizia con questa frase. Ciò che può sembrare un flashback alla fine rivela essere invece un’anticipazione di eventi futuri alla narrazione.
La struttura narrativa quindi è deformata temporalmente attraverso la mente di Louise, narratrice omodiegetica, che ha la possibilità di muoversi nel tempo come se fosse una dimensione fisica.
Solo nel finale allora scopriamo che Hannah è la figlia che Louise ha avuto con Ian, dal quale lei è stata lasciata. Si accenna ad una misteriosa malattia, che sembra essere collegata all’eredità cosmica lasciata in dono alla linguista.
Nella conclusione quindi torna ad essere preponderante il motivo dell’incomunicabilità. Louise, capace di trascendere i limiti umani del tempo, è diventata però incapace di dettagliare la narrazione come ha fatto fino a quel punto.
In tutto ciò risiede la straordinarietà della pellicola.
Il pretesto della fantascienza ha permesso a Villeneuve non solo di creare una delle opere migliori nel suo genere, ma anche di affrescare una grande elaborazione filosofica.
La scienza avanguardista delle creature che giungono sulla Terra ha come scopo un dono, quello del linguaggio, che è uno tra i più primitivi sviluppati dall’uomo.
In questa parabola così incommensurabile si apre una breccia nel profondo della nostra essenza, stravolta nella sua linearità e con un ventaglio di possibilità completamente nuove. Una perla rara del cinema d’oggi.