Bohemian Rhapsody, la più famosa canzone di Freddie Mercury e dei Queen, è un inno d’amore.
Per la musica e per tutta la sua storia. Questo è Bohemian Rhapsody, un brano diventato leggendario ed emblematico del grandioso gruppo che l’ha scritto e inciso. Non è un caso se il famoso biopic su Freddie Mercury prende il titolo proprio dal pezzo. Nell’ambito della vasta ed eclettica discografia dei Queen, che hanno interpretato nel loro personalissimo stile tantissimi generi musicali, Bohemian Rhapsody rappresenta un unicum. Tratto dal loro quarto album in studio, A night at the opera, è farcito di riferimenti alla musica classica e, appunto, operistica, e strutturato secondo la sapienza compositiva propria del genere.
Già il titolo contiene una coordinata ben precisa. Bohemian Rhapsody è una rapsodia, una forma compositiva romantica nata come parafrasi virtuosistica di temi popolari. Famosissime sono quelle ungheresi di Liszt, così come la Rapsodia Spagnola di Maurice Ravel, o ancora la celeberrima Raphsody in blue di George Gershwin. Il termine rapsodia si riferiva però, nell’antica Grecia, ad una composizione di natura epica recitata dal rapsode, formata da parlato e cantato. Una doppia valenza, quindi, musicale e drammatica, entrambe caratterizzanti Bohemian Rhapsody, in cui la musica si fa azione e narrazione, e viceversa.
Sia nel suo significato classico che romantico, la rapsodia è una forma libera.
In quanto tale si struttura come una successione di episodi musicali molto diversi. Il corale omofonico iniziale (00:00-00:49) apre il sipario a tutta la composizione. Segue la ballad vera e propria, il centro tradizionale del brano (00:50-3:02), che ci porta al punto più interessante, la scena lirica tra il protagonista e il coro di demoni (3:03-4:07). A chiudere questo capolavoro un movimento di danza in 6/8 (4:08-4:54) e una coda che ripropone i motivi già presentati.
Come ogni grande opera della musica classica, ciò che la rende un capolavoro è la coerenza con cui differenti elementi si relazionano tra di loro. Un esempio che vale su tutti: l’accompagnamento pianistico della ballad è basato su un inciso ritmico che caratterizza anche l’episodio operistico. Tramite un procedimento noto come diminuzione, un elemento viene riutilizzato con i suoi valori di durata dimezzati.
Per non parlare dell’infinità di motivi melodici che si ripresentano qua e là nella rapsodia, come ad esempio questo, che funge da semifrase conclusiva in vari punti del brano: durante la ballata, durante la scena e nella coda.
Tra le altre cose questo motivo melodico deriva direttamente dall’incipit dell’accompagnamento pianistico e ne rappresenta una sua elaborazione cromatica: lo stesso cromatismo che caratterizza gran parte della scena lirica.
Bohemian Rhapsody è quindi composta con un certo rigore.
Anche sul piano tonale le sezioni sono collegate tra di loro in maniera perfetta. L’introduzione e la ballad sono imperniate sul tono di Sib maggiore. Il mitologico solo di chitarra modula in maniera brillante in La maggiore, una tonalità piuttosto lontana da Sib. Da un lato si collegano tramite la scala napoletana, che ha per l’appunto il secondo grado abbassato (si bemolle rispetto a la); d’altro canto questo cambio di colore così marcato apre la nuova scena in maniera molto decisa.
Questa scena, il quadro musicalmente più interessante, sembra quasi un concertato. Un grande brano d’assieme in cui i demoni si contrappongono al nostro protagonista sceso all’inferno. La capacità della musica di raccontare la storia e drammatizzarla è resa qui dalla contrapposizione tra le voci soliste e la massa corale. Quel vort-ton-drama profetizzato da Wagner trova qui il suo compimento: la musica che da sola è capace di creare delle immagini teatrali.
Seguendo la logica del circolo delle quinte, La torna ad essere Si bemolle, dominante di Mi bemolle. Su questa tonalità il brano proseguirà fino alla fine. Lo snodo tra queste due sezioni della scena è il celebre “Galileo, Galileo” che alla fine invoca Figaro. Un altro importante Figaro della storia della musica è Il barbiere di Siviglia di Rossini. La somiglianza tra l’inciso utilizzato da Rossini in questa sezione (circa 2:12 nel video)
e quello di Bohemian Rhapsody in “Galileo, Galileo” è evidente.
Non una strana coincidenza, poco probabile come omaggio.
Piuttosto oseremmo definirlo uno di quei rari miracoli della storia della musica. Alfredo Casella, nella sua prefazione alla Fantasia cromatica e fuga in re minore di Bach parla di punti in cui la storia della musica si riassume in sé stessa. Così per l’opera sopracitata, così per la nona sinfonia di Beethoven, così per tanti altri esempi tra i quali Bohemian Rhapsody rientra a pieno. Questo perché si può vedere il brano anche come un piccolo compendio di generi musicali.
L’introduzione corale è già di per sé un elemento preso dalla tradizione musicale colta. Le Liedertafeln romantiche, interpreti del Chorlied, i grandi cori d’opera ma anche semplicemente le intonazioni gregoriane. La ballad è si una forma del moderno rock, ma il meraviglioso solo di Freddie Mercury ci riporta a tutta la storia della vocalità.
D’altronde la forma strofa-ritornello ABAB di questa sezione del brano non è estranea a tante arie d’opera, romanze o lied per voce sola. Infine la sfrenata “So you think you can stone me and spit in my eye?”, con cui il protagonista si libera dagli spiriti del Tartaro, è assimilabile a tantissimi movimenti di danza strumentale.
Persino il finale, che richiama le atmosfere iniziali, dà al brano nella sua completezza un aspetto ciclico, come tante altre forme musicali. Come Bohemian Rhapsody molti poemi sinfonici sviluppano un discorso musicale estremamente legato ad un testo letterario. Creano delle vere e proprie strutture di corrispondenza tra la narrazione e gli eventi sonori, come nel capolavoro in questione. L’intima confessione alla madre, una drammatica discesa negli inferi e la liberazione. E con i poemi sinfonici condivide anche la ciclicità formale.
Un inno d’amore, quindi.
Non per la musica classica, non per la musica moderna. Per la musica. E forse in questo risiede la sua immortale bellezza, come i grandi capolavori dei grandi maestri. Un brano capace di essere contemporaneamente qualsiasi cosa. Un’opera dei nuovi linguaggi, un racconto nostalgico dell’opera lirica, un’avventura musicale. La scrittura magistrale di Freddie Mercury ha dischiuso alla storia della musica una delle sue vette più alte di sempre.
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