Una chiacchierata con Zerocalcare nella sua prima mostra

Michele Rech, in arte Zerocalcare ha presentato la sua prima mostra al MAXXI di Roma, noi della scimmia lo abbiamo incontrato abbiamo scambiato due chiacchiere

Zerocalcare
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Qui ci manca tutto, non ci serve niente…

Così, presso il MAXXI di Roma, si apre la prima mostra dedicata ai lavori di Michele Rech, in arte Zerocalcare. A dare il benvenuto è quell’ormai famoso Mammut gigante con tatuato il CAP di Rebibbia, copia del murales realizzato dall’artista nel quartiere di Roma che lo ha cresciuto.

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Welcome To Rebibbia o meglio “Benvenuti nel mondo di Zerocalcare”. Ma è solo “un’anticamera” necessaria e doverosa prima della mostra vera e propria. Una breve ricostruzione storica, in bianco e nero, della vita del fumettista stampata lungo una rampa di scale che spinge il visitatore verso l’allestimento principale. Una grande sala che è già un’opera d’arte grazie al murales creato ad hoc da Zerocalcare.

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Lungo le pareti della sala: le locandine, le strisce e le tavole originali dei nove libri dell’autore, illuminati dai finestroni sui quali sono state stampate le copertine dei vari volumi. Tuttavia l’anima della mostra è al centro della sala, dove è stato ricostruito uno dei personaggi simbolo di Zerocalcare: L’armadillo.

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Si parte dalla testa, creata con un tavolo sagomato e che al suo interno mette in mostra le tavole de: La Profezia dell’Armadillo. Per poi passare dentro la scocca dell’animale formata da lamiere. Dentro il duro guscio c’è il mondo dell’artista, diviso in 4 temi principali che raccontano un disegnatore capace di mostrare con cruda ironia la sua vita, la sua generazione e la nostra realtà: POP, TRIBÙ, LOTTE E RESISTENZE, NON REPORTAGE.

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Una mostra a 360° gradi. Divertente e feroce, ma con quella vena un po’ malinconica propria di Zerocalcare. Capace di dimostrarsi geniale anche nel raccontare un evento di tutti i giorni, come la battaglia sul treno per il possesso del bracciolo fra lui e una suora “pescegatto”.

Ecco l’intervista fatta all’artista:

Zerocalcare, la tua prima mostra, come ti senti?

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In realtà fino ad un paio di giorni fa ero abbastanza tranquillo. Ora, invece, sono in uno stato di grande paranoia, perché effettivamente mi sono reso conto che è una cosa abbastanza grossa. Contando che è anche il MAXXI, un gigante per dimensioni e attenzioni.Tutto questo è un po’ fuori dalla mia tradizionale comfort zone. Poi Con il MAXXI ho un rapporto tutto sommato buono, anche se si trova a Roma Nord. Ma è un posto che frequento sempre con piacere. Ci sono mostre interessanti e mi piace anche come struttura.

Cresciuto nel quartiere di Rebibbia, adesso ti ritrovi a Roma Nord!

Stamattina ho impiegato una cosa come un’ora e quindici minuti per arrivare qui. Quindi continuo a pensare che Roma Nord sia un luogo maledetto dagli Dei.

La mostra si intitola Scavare fossati – nutrire coccodrilli, che cosa c’è dietro questo titolo?

È qualcosa che riguardava una sfera emotiva personale. Scavare fossati – nutrire coccodrilli nel senso di richiudermi in me stesso. Fa riferimenti ad un momento in cui mi sentivo misantropo. Poi nel raccontarlo come titolo ci siamo accorti che riecheggiava anche su di un piano politico, sia italiano sia internazionale. Quasi si riferiva a questa tendenza che si vede in giro di: scavare fossi, alzare muri e mettere le distanze.

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Viviamo un momento politico difficile, dove le nuove generazioni sono spaesate. Come la vedi?

Nella mia storia c’è molto che si intreccia con la politica di un certo tipo: come gli spazi occupati o i centri sociali. Adesso però io so’ spaesato quanto tutti gli altri su questa cosa. Quello che vedo, se mi guardo intorno, è che sono zompati tutti i punti di riferimento tradizionali. C’è una specie di incattivimento verso il povero, o l’ultimo dopo di te, così come nella mia città, che non ha mai raggiunto livelli così alti. E con questa cosa ci troveremo a dover fare i conti.

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Dalla mostra si nota la tua evoluzione come disegnatore. Ti vedi migliorato o peggiorato?

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Migliorato NO. Secondo me, il tratto è peggiorato perché un po’ l’ho asciugato. Ho dovuto trovare per forza una sintesi. Quindi, se alcune cose sono più armoniche, altre sono, sicuramente, meno dettagliate e meno curate. Questo perché ormai la vita mi costringe a fare le cose di corsa. Mentre prima ci potevo mettere una settimana per fare una locandina, ora la devo fare in mezza mattinata. È una palestra di lavoro, spesso si perdono i dettagli.

Bianco e nero o colore?

Io vado con il bianco e nero perché sono cresciuto su supporti poveri tra virgolette. Allora con una fotocopiatrice bisognava fare mille copie di un manifesto e non c’erano i soldi per farlo a colori, quindi ho imparato a usare il bianco e nero. Poi la maggior parte delle cose a colori che faccio ho sempre qualcuno che mi aiuta.

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Che ruolo ha e può avere il Graphic Novel in questo periodo storico?

Secondo me, come linguaggio, l’unire testo e disegno, sul piano della fedeltà dei fatti ha qualcosa in meno rispetto ad una fotografia. Invece, nel raccontare le emozioni, un aspetto importante della narrazione degli eventi, ha una marcia in più. Il fumetto questo lo fa molto bene, e con la sua capacità di produrre immaginario, ha anche la forza di influenzare il presente e il reale. Ed è qualcosa che non bisognerebbe sottovalutare. Io inoltre non cerco mai qualcosa da raccontare per raccontarla. Provo a vivere la vita seguendo i miei principi,  poi se in un contesto trovo qualcosa che valga la pena di essere raccontato lo faccio.

Un particolare ringraziamento ad Anna Longo.

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