Successivamente, Caparezza afferma di volersi distinguere dai rapper suoi pari, che, come visto prima, a suo avviso sono come gli zombie di Resident Evil. Egli allora sfugge con un salto, come quelli che fa spesso il protagonista di Prince of Persia nell’omonimo gioco. Il salto qui indica un salto di qualità stilistica, che per esempio abbraccia più generi e si affida ad un frasario più variegato, come in questa stessa canzone. Le olimpiadi Konami sono infine diversi minigiochi di carattere sportivo, nei quali bisogna utilizzare freneticamente i comandi per vincere. Quando dice che se stacca le mani “l’agitazione mi resta”, Caparezza intende che ciò che esprime nelle sue canzoni se lo porta ovunque, e che l’inquietudine che vi si ritrova non sparisce una volta finito di cantare.
Strofe: Caparezza – Abiura di me
“Io non vengo dalla strada, sono troppo nerd
Non sposo quella causa, ho troppi flirt
Vivo tra gente che col Red Alert
Passa la vita sui cubi come Q*bert”
Ancora Caparezza si schernisce, allontanandosi dalle forti posizioni ideologiche dei propri pari. La pretesa di “venire dalla strada”, e quindi di rispondere a certe caratteristiche di autenticità, è un motivo ricorrente nelle rime dei rapper, americani e italiani. Lo sposare una causa o un’altra è un altro alibi spesso adottato da questi cantanti per aumentare la propria statura artistica. Per quanto, lo stesso Caparezza abbia effettivamente partecipato a progetti nobili, come quello chiamato Nell’acqua, per sensibilizzare il pubblico sul problema dello spreco delle risorse idriche.
Caparezza fa poi un riferimento ai frequentatori delle discoteche, visti come esseri senza cervello che, come Q*bert nell’omonimo gioco, stanno sopra dei cubi (i cubi da discoteca sui quali si esibiscono le ballerine). Questo verso richiama anche la canzone Fuori dal tunnel, del 2003: “Di te che spendi stipendi stipato in posti stupendi/Tra culi su cubi succubi di beat orrendi”.
“Ho visto pazzi rievocare vecchi fantasmi
Come Pac-Man e Dan Aykroyd
Ho visto duri che risolvono problemi alzando muri
Che abbatto come ho fatto in Arkanoid”
Qui si affrontano diverse tipologie di personaggi. Il primo, il nostalgico, che si rifà ad un eterno passato, dal quale rievoca fantasmi come nel videogioco Pac-Man (i fantasmi tornano in “vita” dopo essere stati mangiati), e ovviamente come nel film Ghostbusters, del quale Dan Aykroyd è protagonista e co-sceneggiatore. La seconda tipologia è quella del duro, il personaggio fiero che si difende dal mondo esterno alzando “muri”, come quello dei Pink Floyd. Muri che in realtà lo portano solo ad indebolirsi, e che perciò Caparezza personalmente preferisce abbattere come nel gioco Arkanoid, nel quale bisogna appunto demolire un muro di mattoni colorati facendoci rimbalzare contro una sfera.
“Nemmeno Freud saprebbe spiegarmi
Perché la notte sogno di aumentare le armi
Perché la Terra mi pare talmente maligna
Che in confronto Silent Hill assomiglia a Topolinia”
Sigmund Freud viene chiamato in causa per interpretare i problemi psicologici di Caparezza, che in questa canzone sfoga tutto quello che ha da dire con metafore videoludiche, e che, come vedremo tra poco, si ritiene “paranoico ed ossessivo”. Per questo la notte sogna “di aumentare le armi”, cioè di difendersi: il sonno è il momento in cui un individuo è più vulnerabile; inoltre, è noto come Freud cercasse di fornire un’interpretazione dei sogni. Il successivo confronto tra Silent Hill, nebbiosa e orrifica città del famoso gioco, e Topolinia, pacifica città di Topolino e altri personaggi dell’universo Disney, parla da sé.
“Io devo scrivere perché se no sclero
Non mi interessa che tu condivida il mio pensiero
Non cammino sulle nubi come a Wonder Boy
Mi credi il messia? Sono problemi tuoi”
Arriviamo quindi al punto fondamentale, già espresso in precedenza: per Caparezza esprimersi è un’esigenza, lo richiede il suo carattere. Non lo fa per essere famoso, per essere ammirato o per essere ricco. E il fatto che questo gli porti critiche insensate, di oppositori che non lo capiscono, lo porta a riflettere su ciò che fa. Nell’ultima strofa Caparezza lo dice chiaramente: “non mi interessa che tu condivida il mio pensiero”.
La citazione finale è quella del videogioco Wonder Boy del 1986, nel quale il personaggio principale saltava appunto sulle nuvole durante le sue avventure. L’immagine qui ricreata è di natura divina, ed infatti il verso successivo chiama in causa il concetto di messia. Cosa che, ancora una volta, Caparezza nega di essere. Per completare l’analisi di questo testo, esaminiamo il refrain.
“Io voglio passare ad un livello successivo
Voglio dare vita a ciò che scrivo
Sono paranoico ed ossessivo fino all’abiura di me
Vado ad un livello successivo
Dove dare vita a ciò che scrivo
Sono paranoico ed ossessivo fino all’abiura di me”
In queste parole Caparezza esprime la sua eterna ricerca della perfezione, dell’auto-miglioramento, di un modo di esprimersi migliore. Si tratta del salto “da Prince of Persia” sopra citato. Con questo salto Caparezza vuole andare oltre i suoi colleghi rapper, arrivare a forme artistiche superiori. Il livello, naturalmente, è anche un livello di un videogame: in un gioco elettronico, per passare ad un livello successivo, bisogna riprovare e migliorare. Allo stesso tempo, Caparezza vuole che il suo pubblico capisca che tutto questo non lo fa perché è un megalomane, ma semplicemente perché la sua natura di “paranoico ed ossessivo” glielo impone. Giungendo quasi a limiti estremi, come quello dell’abiura, cioè della negazione e del rifiuto di sé stessi e delle proprie credenze.
L’abiura, per intenderci, è ciò che dovette fare Galileo Galilei davanti al tribunale dell’Inquisizione nel 1633, a causa delle sue teorie troppo avveniristiche. Caparezza, rovesciando il significato di questa pratica, intende qui dire che pur di seguire le sue idee sarebbe anche disposto a reinventarsi completamente, guardando sempre avanti e cercando sempre nuove rime e nuovi suoni. Cosa che, come sa chi conosce la sua saga, ha fatto già dai tempi di Miki Mix, la sua prima incarnazione come rapper. E che continua a fare tutt’ora.
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