22 July è il nuovo film Netflix che tenta, in modo convincente, di raccontare la strage di Oslo, avvenuta nel 2011.
22 July racconta la tragedia di Utoya, avvenuta il 22 luglio 2011 in Norvegia, per mano dell’estremista Andres Breivik.
Il film-documentario, della durata quasi eccessiva (143 minuti) mostra tuttavia con fedeltà e forza uno degli avvenimenti “terroristici”che più hanno scosso il mondo negli ultimi anni.
22 July – trama
La storia inizia con Anders Behring Breivik a casa con madre, mentre si prepara per la sua azione. Contemporaneamente si vede il Primo Ministro norvegese, Jens Stoltenberg, che sta organizzando l’incontro con dei ragazzi in un campo della gioventù a Utoya, e poi si vede il medesimo gruppo di ragazzi, più che altro adolescenti, che arriva proprio sull’isola di Utoya.
Breivik si veste con un uniforme della polizia, e parte verso il centro di Oslo con un furgone bianco carico di esplosivo. Lo parcheggia di fronte al palazzo governativo e viene scoperto solo troppo tardi grazie a delle telecamere di sicurezza. Il furgone esplode, e trovandosi nel seminterrato del palazzo provoca un disastro all’edificio stesso e a ciò che lo circonda.
Sull’isola intanto i ragazzi si ambientano e in particolare noi veniamo focalizzati su Viljar Hanssen, uno dei più popolari studenti, che, assieme al fratello, proviene dalle isole Svalbard. Breivik si sposta e arriva all’imbarco per l’isola di Utoya. In brevissimo tempo tuttavia, Breivik con estrema facilità inganna la debole sorveglianza di guardia all’isola e lo vediamo salpare sul traghetto che lo porterà sul luogo della strage.
Appena sceso, dopo una richiesta di identificazione, uccide i capi del camp e si lancia senza freni verso i ragazzi e verso il suo scopo. La rabbia del terrorista nasce anche dal fatto che il campo estivo era stato organizzato dall’AUF, la sezione dei giovani del partito al potere.
I ragazzi sentono gli spari ed iniziano a correre per l’isola scappando e cercando di nascondersi, ma Breivik entra nelle case, arriva fino al bosco, alla spiaggia, in quasi tutta l’isola. Viljar riesce a mandare un messaggio alla madre dicendo che c’è un attacco sull’isola, e partono così i soccorsi, che quando arrivano sull’isola fanno sì che l’estremista si abbandoni totalmente alla polizia. Viljar però intanto è stato colpito ben tre volte, una delle quali alla testa, ed è steso a terra sulla spiaggia quasi in fin di vita.
Il resoconto della strage è di 77 persone uccise, con tantissimi feriti, di cui la maggior parte giovanissimi adolescenti.Durante il primo interrogatorio iniziale, Breivik afferma che ci sarà un ulteriore attacco, e che il suo gruppo è composto da molti estremisti come lui. La polizia tuttavia capisce subito che è un caso isolato che non ha in realtà nessuna affiliazione.
Da questo momento nella trama si avvia la parte dell’indagine, con da una parte il ministro norvegese che si sente in colpa per aver monitorato gli estremisti islamici ma non quelli bianchi, dall’altra l’indagine su Breivik. Egli richiede l’assistenza di uno specifico avvocato solo perchè questo un tempo aveva difeso un nazista (parte che non viene chiaramente spiegata). La trama che viene tuttavia seguita di più è quella della guarigione miracolosa di Viljar, che resta comunque segnato e deve sottoporsi a molteplici interventi chirurgici.
Il film, del britannico Paul Greengrass, racconta gli eventi formalmente e magistralmente, con correttezza e precisione quasi documentaristica, senza però appassionarsi la vicenda o far trasparire pathos. Nasce dal libro Uno di noi – La storia di Anders Breivik (One of Us) di Åsne Seierstad, e la storia che racconta è la più violenta mai avvenuta dalla seconda Guerra Mondiale in Norvegia.
Non è la prima volta che il regista si applica a fatti realmente accaduti, dopo Bloody Sunday (2002), United 93 (2006) e Captain Phillips – Attacco in mare aperto(2013). Dopo aver raccontato la vicenda dell’attentato in modo quasi sbrigativo Greengrass si concentra sul post-strage, sulla riabilitazione, sulla questione ideologico-politica ecc.
Concentrandosi infatti, in modo quasi eccessivo, sulla vittima (in un percorso già visto molte volte) lascia in secondo piano invece ciò che veramente poteva rendere più interessante la storia: Breivik.
Egli era infatti portatore del malessere che l’Europa stava (e sta ancora) affrontando con le ondate populiste, i continui flussi migratori dal Nord Africa e la crisi mai veramente terminata del 2008.
Perchè era questo che veramente spaventava di questa storia, il fatto che Breivik, come si dimostra ampiamente nel film, non era un pazzo scatenato, un matto. Era solo un giovane ragazzo stanco e con delle idee rigide di cui era fermamente convinto, talmente tanto da uccidere e rinunciare alla sua stessa vita. Questa era l’importante fatto che 22 July doveva dimostrare al mondo, soprattutto grazie alla piattaforma Netflix che lo ha distribuito worldwide.
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