Cos’è il rock ‘n roll senza un velo di mistero? Il mondo della musica è costellato di stranezze che non fanno altro che alimentarne la fama. Nella nostra rubrica settimanale “Rock is Dead” parleremo delle morti misteriose e controverse delle leggende del rock (ma non solo)
L’appuntamento di oggi è dedicato all‘energico batterista dei Led Zeppelin, John Bonham. Noto ai più come Bonzo (come il maldestro cagnolino protagonista di una serie animata degli Anni ’20), di sé amava dire che rullava sui tamburi come una tempesta: era il terrore dei gestori dei locali, che rifiutavano di fare esibire le band in cui militava. Spesso e volentieri si divertiva a lanciare in aria le bacchette per continuare a suonare a mani nude. La sua batteria è considerata tra le più poderose del rock ed ha contribuito a trasformare i Led Zeppelin in un’autentica icona.
John The Beast
John Henry Bonham nacque 31 maggio del 1948 a Reddicth, un piccolo paesino al confine col Galles. Era un sempliciotto – nell’accezione più positiva del termine – dalle umili origini, nato in una famiglia in cui la musica non aveva mai avuto poi chissà quale rilevanza. In questo Bonzo era una mosca bianca: già da piccolissimo cominciò a nutrire la sua passione verso le percussioni. Erano tempi duri, e benché la sua famiglia non avesse mai scoraggiato in alcun modo il suo forte interesse per la batteria, non poteva permettersene una vera e propria.
Fortunatamente il suo amore per la musica era così smisuratamente grande che il giovane John cominciò a suonare con una rozza e rudimentale batteria, costruita con mezzi trovati in casa: “Suonavo su un bidone per sali da bagno con fili di ferro sul fondo, e su una lattina di caffè tenuta da uno spago un po’ allentato per dargli l’effetto di un rullante” raccontò riferendosi a quel periodo.
Quando poi, dopo anni, suo padre riuscì a mettere da parte un gruzzoletto sufficiente per poter comprare una batteria degna di essere chiamata tale, Bonham ebbe finalmente modo di dare libero sfogo ai propri stimoli. Restò però con i piedi per terra e cominciò a lavorare come muratore per il padre: se con la musica gli fosse andata male, avrebbe potuto ripiegare sul piano B.
Continuò nel frattempo a coltivare la sua passione, entrando a far parte di questa e quella band, contribuendo ad accrescere la propria fama (di casinista e musicista). Quando poi accettò di far parte di una band nata dalle ceneri degli Yarbirds, si creò il fenomeno musicale noto a tutti con il nome di Led Zeppelin.
Il successo fu IMMEDIATO e poco dopo la loro formazione, si vociferava che il gruppo avesse stretto un patto con Lucifero in cambio del successo. I più fantasiosi raccontano che uno di loro si rifiutò di entrare nell’accordo con gli altri tre, la stessa persona a cui non toccò la triste scia di dolore che avrebbe attraversato le vite degli altri componenti.
Effettivamente, Plant subì la perdita improvviso di suo figlio di soli 6 anni per un virus virale allo stomaco tutt’ora non identificato; Page finì per essere risucchiato da un vortice di dipendenze da cui stentatamente riuscì a risalire; a Bonham toccò la fine che noi tutti conosciamo; Jones, l’unico che non aderì al patto Faustiano, rimase pressocchè incolume a tanto dolore.
ZoSo: il simbolismo nella musica dei Led Zeppelin
Tra i mille gruppi conosciuti e legati all’occulto e all’esoterismo, nessuno ebbe la notorietà dei Led Zeppelin. Nel corso della loro storia, hanno trasudato un’aurea mitologica combinando, nei loro testi, storie popolari e riferimenti all’occulto. Anche le cover dei loro album sono zeppe di misteriosi riferimenti: prendete House of the Holy. E’ ispirato al racconto di fantascienza di Arthur C.Clarke “Childhood’s end”, ma all’interno della copertina è raffigurato un bambino in una posa particolare, quasi sacrificale.
Basta anche solo osservare il logo dell’etichetta discografica Swansong: basato sul dipinto Evening – Tha Fall of Day di William Rimmer. Rimmer non ha mai chiarito chi fosse l’oggetto del suo dipinto, se Dedalo, Lucifero o Apollo, ma qualunque cosa la figura sia, è sicuramente meno interessante di quello che gli Zeppelin avevano intenzione di mostrare.
Vogliamo parlare poi dell’album più enigmatico da loro mai prodotto? L’album senza nome, il IV, i cui unici riferimenti a Plant e soci sono all’interno della cover dell’album stesso. Capite come questo possa rappresentare una sorta di suicidio commerciale per una band come i Led Zeppelin, ma nonostante le pressioni della casa discografica, restarono fermi nella loro decisione di pubblicare un album privo di elementi che potessero essere collegati alla band. E’ però zeppo di simboli: è per questo che l’album viene spesso indicato con il nome di Zoso.
Ogni simbolo venne scelto da ciascun membro del gruppo per rappresentarsi: da sinistra a destra, Jimmy Page, John Paul Jones, John Bonham e Robert Plant.
I tre triangoli sono stati interpretati come una trinità al femminile.
La piuma pare simboleggi la stessa utilizzata da Ma’at, la dea egiziana della giustizia, come contrappeso sulla bilancia su cui si credeva venisse pesato il cuore dei defunti. Ma potrebbe esser vista più semplicemente come la penna di uno scriba…di un cantautore, nel caso specifico.
Il simbolo di Bohnam è costituito da tre cerchi interconnessi: un modo per esprimere il legame tra Padre, Madre e Figlio.
Non è una sorpresa che il simbolo scelto da Page sia il più difficile da decifrare: mentre gli altri tre sono presenti nel Libro dei Segni di Koch, questo non è noto al di fuori dell’utilizzo che ne fa Page. Il chitarrista è famoso per essere un occultista esperto, oltre che il più grande collezionista di opere originali di Crowley.
Il quattro poi è un elemento ricorrente, visto che la tetrade è considerato un numero divino: è come se i quattro elementi della band si fossero uniti per creare un incantesimo moderno, il disco considerato uno delle pietre miliari del rock.
<<Sono sempre la stessa persona. Mi piacciono il giardinaggio e i lavori di casa, e sono ancora la testa calda di sempre. Non mi siedo mai a riflettere sulle cose>>
Ritorniamo al protagonista della nostra storia: Bonzo è soddisfatto di far parte di una band in cui può esprimere a pieno la propria arte. Nelle vesti di un moderno e animalesco Dott.Jekyll e Mr. Hyde, l’animo di Bonham è diviso come un fuoco a due lingue; in Inghilterra conduce una vita equilibrata: è un buon padre, cura il giardino e si dedica alla sua passione per i motori (possedeva ben 21 auto d’epoca); in tour, invece, è un’altra persona: distrugge le camere degli alberghi in cui alloggia, fa volare i televisori dalla finestra e l’eroina inizia ad insinuarsi silenziosamente nella sua vita. Non viene più descritto come quel ragazzone dall’animo vivace e gentile , ma piuttosto come un personaggio più inquieto, scontroso, con una forte tendenza all’alienazione.
I gufi hanno pianto
Se il 1980 rappresenta il punto più basso della carriera degli Zeppelin, è anche l’apice delle tendenze autodistruttive di Bohnam: durante un live a Norimberga perde addirittura i sensi dopo appena 3 canzoni, in quello che verrà ricordato come un dei concerti più brevi di sempre. E’ perennemente in hangover, beve fino a star male, fino a svenire. Tutti sono consapevoli dei suoi problemi con l’alcol, ma nessuno sa come affrontare quella che sembra essere una fase tutt’altro che passeggera.
Nel settembre dello stesso anno, la band si trova nella sala prove a casa di Jimmy Page: no, non stiamo parlando della tanto inquietante quanto meravigliosa Tower House, ma di Hold Mills House, il grazioso mulino sul Tamigi convertito a residenza, nei pressi di Clewer. La mattina delle prove, Bonzo fa una delle sue colazioni energetiche: un paio di panini imbevuti in quattro bei bicchieroni di vodka e succo d’arancia.
Durante le prove, continua a ingurgitare quantità impressionanti di alcol, che gli impediscono di continuare a suonare. La band si trova quindi impossibilitata a continuare le registrazioni e decide di organizzare un piccolo party a Hold Mills per passare il tempo, durante il quale Bonham continua (strano!) a bere senza sosta.
<<A John Paul piaceva il gin and tonic. Robert beveva principalmente vino, e alle volte scotch. Jimmy era fissato col Jack Daniels. Ma Bonzo e io non eravamo così schizzinosi. Dal rum alla birra e allo champagne, bevevamo praticamente di tutto>>
Ormai accadeva così frequentemente che quella sera nessuno si scandalizzò troppo nel trovarlo disteso a dormire sul divano, praticamente stroncato da tutto l’alcol che aveva in corpo. Plant e soci lo portano in braccio fino alla sua stanza, preoccupandosi di lasciarlo su un fianco per evitare che potessi soffocare col proprio vomito. Dettaglio non irrilevante, considerando che sarà proprio quello il suo triste destino. I testimoni di quella notte affermarono di aver posizionato dei cuscini attorno al batterista per evitare che si muovesse, nel sonno.
A nulla valsero tutte queste accortezze, visto che alle 13 circa del giorno successivo Jhon Bohnam venne ritrovato morto nel suo letto. La causa? Asfissia, soffocato dal vomito dopo gli eccessi alcolici della sera precedente. Il coroner dichiarò che aveva in corpo l’equivalente di 40 bicchieri di vodka.
Lo storico batterista dei Led Zeppelin morì dunque per un tragico incidente, a soli 32 anni. Ma… se non fosse solo questo?
Tra cronache e leggende
Solo pochi giorni dopo la notizia della dipartita di Bohnam, alcune testate giornalistiche cominciarono ad amplificare i miti che hanno da sempre circondato il gruppo, e, in modo particolare, Jimmy Page. La stessa persona che non ha mai nascosto la sua attrazione verso l’occulto, che ha seminato simboli e segni in tutte le opere del quartetto e che è considerato tra i più grandi collezionisti delle opere di Aleister Crowley. Secondo quanto riportato, i testimoni di quella notte raccontano di aver assistito ad uno “scenario surreale“, contornato dal baccano degli uccelli, particolarmente rumorosi in quell’occasione.
Altri addirittura dissero di aver visto una densa nube nera ergersi sopra la casa, la notte in cui Bohnam morì. Plant, la mattina in cui scoprì della morte del suo compagno, fu l’unico a trovare le parole per descrivere quel momento, affermando che “i gufi avevano pianto quella notte“. E se questa espressione vi ricorda qualcosa, è perché si tratta di un verso di Four Sticks (il cui titolo è dovuto al fatto che Bonham utilizzò 4 bacchette invece che le classiche due), scritto 9 anni prima e contenuto nel quarto album pubblicato.
I più suggestionabili erano convinti del fatto che le pratiche di magia di Page fossero in qualche modo responsabili della morte di Bonzo. La diffusione delle voci sul gruppo, sulla loro violenza, sugli strani riti, non fecero altro che contribuire al propagarsi di tal convinzioni. Dunque non è un mistero che siano nate così tante storie e leggende a riguardo, ed è facilmente comprensibile come di lì a poco, la celebre Starway To Heaven venne messa alla gogna nel tentativo di capire se veramente racchiudesse un inno al Diavolo.
Il tragico evento accadde il 25 settembre del 1980. I funerali ebbero luogo solo il 10 ottobre, in condizioni climatiche così funeste che in pochissimi si recarono a omaggiare il batterista dal “piede più veloce di un quello di un coniglio“, come esclamò Jimi Hendrix dopo aver assistito ad una delle sue performance. All’incirca due mesi dopo, i restanti membri della band diffusero un comunicato stampa nel quale dichiararono che non avrebbero potuto continuare a suonare senza di lui, dichiarando ufficialmente sciolti i Led Zeppelin.
Certo, avrebbero potuto ingaggiare un altro batterista. Il punto è che Bonham non era solo un membro della band, ma il fondamento solido sul quale il gruppo poteva contare: la sua batteria non dava l’idea di un urgenza statica di mero accompagnamento, ma giocava con la sua grancassa, mettendo dentro dei piccoli accenti, cambiando continuamente il ritmo della frase. In più la vera grandezza del gruppo risiedeva nel modo in cui Bonzo seguiva Jimmy Page: non seguiva il basso limitandosi alla classica 4/4, ma prendeva il riff di chitarra e lo faceva suo con la batteria. Per questo era insostituibile.
Che sia stata colpa del caso o di qualche altra forza misteriosa, da quella tragica notte il mondo della musica avrebbe fatto a meno di uno dei suoi seguaci più dotati. Bonzo era convinto che nella batteria – e nella musica – il feeling fosse molto più importante della tecnica, e l’eco della sua “rumorosa” batteria riecheggerà sempre nell’Olimpo del rock’n roll.