Bohemian Rhapsody – Il Film: la recensione del biopic dell’anno

Bohemian Rhapsody
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Dopo l’anteprima internazionale del 23 Ottobre al Wembley Stadium di Londra, Bohemian Rhapsody – Il Film (stasera alle 21:25 su Rai 1) è uscito ufficialmente il 2 Novembre per il mercato USA.  Quanto ai cinema d’Italia: per vedere finalmente Bohemian Rhapsody l’attesa finisce il 29 Novembre. Ovvero: a pochi giorni dall’anniversario della morte di Farrokh Bulsara – meglio noto come Freddie Mercury – deceduto il 24 Novembre 1991 nella sua casa di Chelsea, in seguito a gravi complicazioni polmonari, che segnano la fine di una lunga, fiera battaglia contro Hiv e Aids conclamato.

Celebrazione, grandeur, ascesa e rinascita di un idolo: le molte anime della bizzarra, incredibile avventura dei Queen e Freddie Mercury, trovano finalmente la quadratura del cerchio in Bohemian Rhapsody.

Bohemian Rhapsody non è solo un biopic: è il biopic su Freddie Mercury, Lover Of Life & Singer Of Songs, costruito e protetto dalla band per oltre 25 anni. I primi rumors di una sceneggiatura, infatti, appartengono al 1992, al backstage di un nuovo Live, che polverizza ancora una volta tutti i record. Era il 25 Aprile 1992: a pochi mesi dalla fine i Queen we il loro entourage organizzano Freddie Mercury Tribute Concert. Sul palco di Wembley Stadium, per molte ore si avvicendavano David Bowie, George Micheal, Axl Rose e i Guns’n’Roses, Robert Plant, Elton John e una serie innumerevole di altre Rock Star. C’erano anche gli altri membri fondatori della band: Brian May (chitarra e voce), Roger Taylor (batteria e voce) e John Deacon (basso). Il Live dedicato ala memoria di Freddie Mercury era anche il primo passo verso la difficile (o forse disperata?) ricerca di un nuovo front-man. Ma anche l’atto di fondazione del Mercury Phoenix Trust: dedito alla raccolta fondi per la ricerca contro l’Aids.

Bohemian Rhapsody

Nel nostro Speciale Bohemian Rhapsody abbiamo già accennato al percorso accidentato del film, tra anni di rocambolesche difficoltà produttive, licenziamenti, illuminazioni e cambi di rotta. L’ingresso in scena di Rami Malek è la svolta determinante. A dispetto del massacro mediatico, che infuria già dalle prime clip in anteprima, Mr Robot ha messo a segno un lavoro incredibile. Un eccellente esperimento di mimesi attoriale, senza nessuna pretesa di trasfigurazione mistica. In barba al pregiudizio internazionale, Rami Malek vola a Londra a sue spese, molto prima di certezze e contratti. Per compiere l’impresa, mette concretamente in campo ogni possibile strumento: playback e lezioni canto, lezioni di inglese britannico e coach di danza, senza escludere nulla e senza che un solo dettaglio resti affidato al caso.

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E’ questo l’assetto generale del film scritto e diretto da Bryan Singer: Bohemian Rhapsody sceglie di essere un biopic basato su un principio di fedeltà assoluta, e su un impressionante processo di ricostruzione storica. Dove per “ricostruzione storica” non intendiamo impressioni generiche né parabole morali. Piuttosto, il biopic Bohemian Rhapsody arriva all’immagine più autentica di Freddie, vita morte e miracoli, attraverso una cura amorevole, quasi maniacale del dettaglio.

Il processo di scrittura e produzione audiovisiva del film Bohemian Rhapsody si potrebbe descrivere con la formula: dal particolare alla Storia. Chiunque abbia anche solo sfogliato un libro fotografico, abbia già visto uno dei moltissimi film documentari dedicati alla vita di Freddie Mercury con i Queen, non potrà non notare l’incredibile, amorevole cura di fotografia, trucco, scenografie (Aaron Haye) e soprattutto dei costumi (a cura di Julian Day): non c’è una giacca, un accessorio o un ciuffo di capelli che non rispecchi fedelmente i magnifici travestimenti di Mercury; lo stesso vale per la band, perfino per comparse e soggetti di passaggio.

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La scelta di restringere la struttura dello script dai primi anni ’70 a Live Aid ’85 rappresenta ovviamente una delle molte scelte possibili. Prima del massacro mediatico, sarebbe meglio chiedersi com’era possibile comprimere una porzione di storia individuale e collettiva, che parte dall’Ealing College di Londra negli anni ’60 e arriva al clamore internazionale nel 1991. Tutto questo, passando attraverso la sofferenza e la strenua battaglia di un uomo: Freddie Mercury, che con l’aiuto di molti amici, tra cui Brian May, ha cantato i brani di Innuendo e altre demo tape nella cittadina di Montreax, letteralmente fino all’ultimo. Non intendiamo ultimo giorno, ultimo respiro, ma qualcosa che è meno poetico e più tragico.

Chiunque voglia sottoporre Bohemian Rhapsody al vaglio del fact-checking, non può dimenticare che esistevano direttive precise: le volontà del protagonista, quello vero.

La minuziosa descrizione della Storia già esiste, ed è affidata a un numero innumerevole di documentari, autorizzati e non. Abbiamo già citato Days Of Our Lives (2011): chiunque desideri davvero la verità, vedrà Mary Austin, la vera autrice dei costumi di Freddie, e perfino Brian May perdere il suo proverbiale aplomb britannico, mentre racconta aneddoti felici, ma descrive anche le condizioni fisiche di Freddie nel corso delle ultime registrazioni.

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Che gli anni della malattia e della morte, che tutta una serie di illazioni fossero escluse da un grande biopic popolare, è l’unica scelta apprezzabile, per chiunque conosca davvero la storia che si nasconde tra le righe di Bohemian Rhapsody. Le ultime volontà di Freddie Mercury erano sofferte, ma meditate per anni. Soprattutto: più che un testamento era un progetto audiovisivo complesso, strutturato per durare decenni, tra album postumi e altri materiali. Soprattutto se parliamo di un film, le volontà di Mercury erano chiaramente espresse, gentili ma insindacabili.

Il biopic Bohemian Rhapsody poteva esistere solo se fedele alla persona, l’immagine artistica, le variazioni che lui stesso ha creato. Le persone che sono state scelte da Freddie Mercury, sono quelle che per anni hanno delegato a sceneggiatori, producer e cast director: potevano e hanno esercitato il diritto di veto. L’obiettivo era un film che non appartenesse al cinema del reale, ma fosse un autentico biopic, un vero film di finzione. Possibilmente, che fosse lo specchio fedele di un uomo dal carattere schivo, che ha scelto la vita di una divo oltraggioso, esplicito, flamboyant. Nel momento della diagnosi e della condanna a morte, Freddie Mercury ha ri-programmato gli album, i tour e ogni ordine di priorità.

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L’obiettivo era la fondazione di un mito, destinato a sopravvivere molto oltre la sua sorte. Parte integrante di questo mito sono: disprezzo della violenza della critica, dei tabloid e dei gossip, spregio di cliché e dell’ipocrita decoro, allusioni, ambiguità e amore per gli opposti estremi, espressi attraverso simboli semplici, come il bianco e il nero. Su tutto: una grande passione per quelle che qualcuno chiama contraddizioni. E viceversa non sono una colpa.

Il sound di quel 45 giri del 1975, Bohemian Rhapsody, nonché del primo Videoclip della Storia, non rappresenta forse un bizzarro pastiche surrealista, generato dalla fusione atomica di Opera, cultura Pop e Rock’n’roll? Il film di Bryan Singer e Rami Malek non è perfetto, questo è certo. Forse c’è un’ellissi narrativa qua e là, forse le scelte potevano essere tutte diverse. Ci sono piccole imprecisioni degli autori e i peggiori sbagli dei protagonisti in carne e ossa. Ma è uno spettacolo autentico, fedele. Godetevi Bohemian Rhapsody e soprattutto l’incredibile interpretazione di Rami Malek/Freddie Mercury, Gwilym Lee/Brian May e tutto il resto del cast. Non sparate sul regista (meno che mai su Malek) e Dio salvi la Regina!