“Maybe I’ll live so long that I’ll forget her. Maybe I’ll die trying.“
Orson Welles è stato uno dei più grandi cineasti della storia, uno di quegli autori che hanno saputo definire un prima ed un dopo le loro opere. Da giovane prodigio nel campo del teatro e della radio passa presto al cinema con il folgorante esordio che fu Quarto potere. Dopo la grande delusione de L’orgoglio degli Amberson Welles si allontana però dal cinema, deluso dal sistema con cui spesso dovrà lottare. Tornerà dopo la guerra con Lo straniero nel 1946 e con La signora di Shanghai nel 1948.
La signora di Shanghai venne in realtà girato ben due anni prima, nel 1946. Welles accettò la proposta della Columbia di girare un noir trovandosi a corto di denaro a seguito di un insuccesso a teatro. Oltre a quello del regista, assunse anche il ruolo di protagonista. Per il ruolo di protagonista femminile scelse invece Rita Hayworth, all’epoca sua moglie, a cui fece tagliare e tingere i capelli di color platino. Una decisione che fece imbestialire la produzione, che temeva una cattiva risposta del pubblico ad un cambiamento così radicale della diva di Gilda.
Il perdigiorno Michael O’Hara (Orson Welles) salva la bella Elsa (Rita Hayworth) da un’aggressione a Central Park. Lei, riconoscente e visibilmente attratta dall’uomo, convince il marito Arthur Bannister (Everett Sloane), prestigioso avvocato, ad assumerlo come marinaio per il suo yatch. Elsa, da vera femme fatale, sarà al centro di un intrigo finemente tessuto fra i due uomini ed il socio di Bannister. E sarà proprio Michael a cadere nella tela, rimanendo invischiato in uno strano caso di omicidio.
Se di noir si deve parlare, è però bene fare qualche precisazione.
Il film di Orson Welles presenta infatti tutti i caratteri del cinema noir, ma li estremizza ferocemente, quasi a voler mostrare con rabbia la propria estraneità ad un sistema produttivo hollywoodiano che lo ha ormai rinnegato. I personaggi diventano caricature evidenti tanto da sembrare fuori luogo, inadatti nel ruolo che dovrebbero ricoprire secondo le logiche del genere. La trama si fa a tratti confusionaria, quasi difficile da seguire: a Welles interessano più i rapporti fra i personaggi che i fatti mostrati.
Si avverte inoltre, sempre sottotraccia ma ben presente, un discorso di classe. Michael è un irlandese squattrinato, mentre i coniugi Bannister sono la classica famiglia WASP. Vediamo ad esempio nei primi minuti gli amici di Michael, rigetti della società (verosimilmente reduci di guerra) senza un soldo. Un forte contrasto con il mondo di Elsa ed Arthur, fatto di vizi, giochi di potere e tradimenti. In un potente monologo Michael sottolinea la propria estraneità a questo mondo, richiamando l’efficace immagine dei pescecani che si divorano fra loro.
L’uso della macchina da presa come sempre per Orson Welles definisce uno degli strumenti che più caratterizzano le sue opere. Primi piani taglienti e febbricitanti si alternano a grandangoli stranianti, in un marasma generato dalla trama trasposto perfettamente su pellicola. Welles mescola, tanto da modificare le equazioni che solitamente regolano il noir. In un finale pirotecnico il regista americano da sfogo al suo estro, fra doppie esposizioni, scenografie espressioniste e giochi di specchi. Specchi destinati ad essere disintegrati, così come lo sono i personaggi ritratti da Welles.
Eppure, nonostante ci si trovi di fronte ad un grande film, va ricordato come quello che oggi possiamo vedere non sia ciò che Orson Welles avrebbe voluto mostrarci.
Ancora una volta gli studios intervennero sul suo lavoro, amputando il film di quasi un’ora e rimuovendo gran parte dei piani sequenza voluti dal regista. Un’autentica manomissione, come accadde qualche anno prima per L’orgoglio degli Amberson e che compromise il successo del film.
Il film non venne infatti ricevuto benissimo alla sua uscita in sala. Con il tempo è stato però rivalutato, fino ad essere oggi considerato un classico del genere ed un’ottima prova del grande talento di Welles, nonostante debba confrontarsi con una filmografia di altissimo livello. Del resto, quello di Orson Welles è uno dei più grandi rimpianti di ogni cinefilo, fra film mai conclusi o modificati dagli studios. Un estro esplosivo, che, purtroppo, solo in parte oggi possiamo vedere sui nostri schermi.