The Struts: un altro revival anni ’70, anche se meno derivativo di altri.
Il secondo album degli Struts arriva in un’annata che si è dimostrata particolarmente incline al revival anni ’70. Dopo i lavori degli Oh Sees e degli All Them Witches, e dopo il copia-incolla dei Greta Van Fleet, gli Struts propongono la loro personale rivisitazione del rock classico. Un po’ di Rolling Stones, un po’ di Queen, una chiara citazione degli Who. E poi quel rock festaiolo, molto leggero, che ricorda gruppi già meno scontati come i Free, i Bad Company, i Thin Lizzy.
Di buono, in YOUNG & DANGEROUS, è che non si tratta tanto di un copia-incolla, quanto di un pastiche: ossia di un miscuglio, che intende riportare in auge certe sonorità senza per forza mantenerle identiche all’originale. Infatti nella musica degli Struts non mancano passaggi indie, più alla moda, o qualche discreto intervento al computer. Il revival degli Struts vuole reggersi sulle sue gambe, senza essere indebitato con il rock classico, ma limitandosi ad alcune (molte) strizzate d’occhio.
In tutto questo, il secondo album del gruppo si può definire discreto. Una volta superati i preconcetti che derivano dall’ovvia natura derivativa della musica che si ascolta, le canzoni risultano nel complesso gradevoli, interessanti, ben costruite. I pezzi migliori sono Body Talks, non a caso piazzato all’inizio; e People, che funziona soprattutto perché riprende diverse melodie già note, come quella di Shapes of Things degli Yardbirds (1966). Ci sono anche ballate, che intrattengono bene pur senza toccare livelli di profondità emotiva tali da superare il semplice sfogo momentaneo.
In definitiva, il secondo lavoro di Luke Spiller e soci costituisce l’ideale prosieguo del primo. Se vi è piaciuto Everybody Wants (2014), certamente non sarete delusi da questo nuovo capitolo. D’altra parte, è chiaro che le potenzialità degli Struts appaiono piuttosto mal riversate in questo eterno revival, che sembra proprio vietarsi di dire qualcosa di nuovo. C’è da sperare che in un nuovo album i quattro non si limitino a farci sentire del buon vecchio rock and roll, ma si spingano anche a fare un po’ di “buon nuovo” rock and roll.