Greta Van Fleet: squadra che vince non si cambia? Recensione di Anthem of the Peaceful Army

Greta Van Fleet
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Un appuntamento molto atteso dai fan di tutto il mondo, il nuovo disco Anthem of the Peaceful Army.

I Greta Van Fleet o si amano o si odiano. Non ci sono vie di mezzo e sono probabilmente il gruppo contemporaneo che scinde in modo più netto la soggettività dall’oggettività. Il fatto che abbiano riscosso così tanto successo ben prima della pubblicazione del primo album fa capire quanto il vecchio e caro rock anni ’70 manchi ai giorni d’oggi. In realtà stiamo vivendo una vera e propria onda revival in tutte le arti riguardante tutti i decenni pre-2000.

La giovane band è stata immediatamente tacciata come mera copia dei leggendari Led Zeppelin. All’atto pratico è veramente così, ma c’è qualcos’altro che li differenzia dalle altre band rock odierne? Probabilmente no.

Vediamo meglio cosa hanno fatto i Greta Van Fleet con Anthem of the Peaceful Army.

Greta Van Fleet

L’album inizia con Age of Man. La canzone fa ben sperare, un intro ben costruito che mette in risalto sia la parte musicale psichedelica che la voce. Joshua Kiszka, frontman della band, mette sul piatto un qualcosa di finalmente diverso dallo scimmiottamento di Robert Plant. La canzone non presenta veri e propri guizzi e rimane abbastanza costante per tutta la sua lunghezza di 6 minuti.

Con The Cold Wind tornano i Led Zeppelin in modo prepotente. Tornano gli stessi effetti e gli stessi vocalizzi che ricordano Plant&Co. Stessa identica cosa con il singolo When The Curtain Falls anche se si avverte una notevole propensione al pop nel ritornello.

Watching Over ha buoni connotati. Una ballad abbastanza energica in cui risaltano le sonorità psichedeliche dei vari stumenti accompagnati dalla voce che ricama il tutto con parti orientaleggianti. Se The Cold Wind riprendeva ancora i crismi dei Led Zeppelin, Lover, Leaver potrebbe essere una B-side di una raccolta di inediti. You’re The One divide in due l’album con una traccia semplice. Un Bob Dylan geneticamente modificato con cori da mani in alto ondeggianti. L’accostamento a Dylan non è assolutamente un difetto e il brano, seppur senza brillare, risulta piacevole.

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Il brano successivo è un buon esperimento che mette sonorità vintage con qualcosa di più moderno, soluzioni ritrovate spesso negli anni ’90. The New Day risulta forse la canzone più innovativa sotto questo aspetto. Altro discorso invece per Mountain Of The Sun, brano molto tradizionale che rispetta praticamente tutti i dettami del pop rock.

Un pizzico di critica sociale con Brave New World.

L’album è composto perlopiù di testi abbastanza tradizionali, The Cold Wind riprende a piene mani dal blues rendendosi sicuramente la traccia più impersonale del quartetto, When The Curtain Falls sembra criticare lo star system in modo velato. You’re The One il classico testo smielato di una relazione amorosa. Il resto delle canzoni trattano sempre l’amore e la pace, nel modo più stereotipato che si ha degli anni ’60/70. Probabilmente Brave New World ha il testo migliore dell’album. Le dinamiche sono le stesse ma vengono affrontate in modo migliore sia nella scrittura che nella composizione musicale.

In chiusura troviamo Anthem e una versione estesa di Lover, Leaver chiamata Lover, Leaver (Taker, Believer). La prima è una ballata ben strutturata ma che non riporta segni particolari da poter essere ricordata. La traccia estesa sembra voler dire che a metà album sarebbe stato poco consono inserire una canzone così lunga che rompesse il ritmo quindi piazziamo la versione originale in fondo. Probabilmente siamo anche d’accordo visto che aggiunge veramente poco e si dilunga quasi inutilmente.

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Cosa ne pensiamo quindi di Anthem of the Peaceful Army?

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In definitiva l’album si lascia ascoltare fin troppo bene dalla prima all’ultima traccia. Ci sono brani che restano bene in mente e si vede che i ritornelli sono finemente studiati. La giusta mossa è stata quella di prendere un sound così conosciuto e renderlo più pop. Oltre a questo c’è ben poco altro. La struttura delle canzoni risulta quasi sempre semplice seppur ben confezionata. Il lavoro in studio è stato magistrale pur lasciando una linea di basso fin troppo presente in tutto il progetto. Con questo lavoro quindi si son tolti di dosso l’etichetta di copia dei Led Zeppelin? Decisamente no.

Anthem of the Peaceful Army è un album discreto che però presenta troppi difetti, dagli stereotipi dei testi alle strutture classiche della composizione. Si nota un passo avanti rispetto ai lavori precedenti ma ancora nessun miracolo. Band e produttori han capito che finché essere una copia risulta vincente è bene cavalcare l’onda ed evitare di modificare linee vocali per renderle originali e diverse.

Il rock è morto quindi? No, basta guardarsi un po’ intorno per trovare ottimi esponenti che strizzano l’occhio al pop e non, artisti che continuano a innovare ed evolvere un genere che sembra morire ogni volta, ma che poi resuscita.

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Greta Van Fleet

Genere: Rock
Anno pubblicazione: 2018