Dal Fahrenheit 9/11 al Fahrenheit 11/9. Una data che sembra quasi essere una profezia. Un dittico quasi distopico del documentarista Michael Moore che da sempre si batte per moltissime cause sociali, mettendo in luce i problemi dell’America. Dalle armi alla sanità , Moore non è mai banale e non fa sconti a niente e nessuno. Critica apertamente l’ala repubblicana ma non risparmia i democratici, mettendo in luce le loro incoerenze. Mantenere uno sguardo distaccato rispetto a ciò che si vede è un compito molto arduo giacché l’influenza ideologica di chi si approccia a Moore può risultare fondamentale. Provando ad essere più distaccati possibile, Fahrenheit 11/9 funziona come il tipico documentario di Michael Moore. Ironico, dissacrante, terribile.
Già dall’introduzione si capisce che Moore vuole cercare una risposta ad una domanda che in molti si saranno fatti. E che riportiamo letteralmente. La voce fuoricampo di Moore, mentre sull’Empire State Building viene proiettato il volto di Trump, si chiede e ci chiede:”How the fuck was it possible?“. Il tutto a concludere una serie di interventi fatti da personalità più o meno conosciute che si sbilanciavano sulle future elezioni presidenziali americane. La Clinton era data per vittoriosa con largo margine ed anticipo. Poi però è successo quello che è successo. Il resto è storia. Moore inizia così a dipingere la storia di Trump, non proprio chiara, sicuramente becera, fatta di sproloqui e gaffe di ogni forma e genere. Il fatto che quest’ultime siano state recidive e pubbliche, le ha quasi legittimate agli occhi dell’americano medio. Tuttavia, l’ascesa di Trump è dovuta da due fattori principali, secondo Moore.
In primis, la fallimentare campagna della Clinton durante le primarie e le presidenziali, nonché gli strasischi di alcune cattive scelte portate avanti da Obama che di fatto hanno favorito un astensionismo a discapito dei Democratici. E non finisce qui perché nel mezzo di Fahrenheit 11/9 assistiamo a momenti che rasentano quasi la distopia di Black Mirror. In particolare, il racconto della protesta degli insegnanti che si videro un aumento della polizza sanitaria con annesso braccialetto fitness che monitorava la loro attività fisica. Se non si raggiungevano determinati obiettivi, a fine anno arrivava una multa di 500$. Cifra non indifferente per un gruppo sociale sottopagato. Piccolo spoiler: alla fine gli insegnanti hanno avuto un aumento salariale e nessun braccialetto di monitoraggio.
Ciò che colpisce però è sicuramente il finale che farà molto discutere. Un montaggio che dà la voce di Trump ad un video d’epoca che ritrae un discorso di Adolf Hitler. Un paragone chiaro e preciso che va a raggiungere l’acme di Fahrenheit 11/9. Come in un crescendo musciale, Moore mostra poco a poco il suo intento dissacratorio. Ora Trump, ora i Democratici, ora lo scandalo delle acque di Flint nel Michigan (obbligatorio recuperare informazioni prima onde evitare di rimanere basiti), ora la sparatoria in Florida fino alla chiusura. In tackle duro, per usare un termine calcistico. Il senso di speranza traspare solamente in occasione del racconto dell’ennesimo “school shooting” americano. Migliaia di ragazzi hanno protestato apertamente verso le istituzioni che vedevano come risoluzione al problema delle stragi scolastiche, l’armamento degli insegnanti. Tutto il resto, è nero. Come la pece.
Fahrenheit 11/9 è come sempre curato in ogni minimo dettaglio, in piena coerenza con l’estetica tipica di Moore. Parla, racconta senza mai annoiare. Strappa qualche risata e qualche brivido di paura usando sapientemente il sarcasmo e la satira come arma di denuncia. Merita una menzione la colonna sonora, non tanto per le scontate marce funebri, quanto più per l’uso di Don’t Stop Belivin’ dei Journey e Vesti La Giubba (altresì conosciuta come Ridi, Pagliaccio) in relazione all’election night americano. Scelte diegetiche e non casuali dal momento che all’inizio dello spoglio, l’hotel che ospitava Trump e compagnia era caratterizzato da volti scuri senza speranza. E che poi, guadagnata la Florida, un sorriso si stampò nel volto di ogni singolo sostenitore. Non sappiamo se questo Fahrenheit 11/9 cambierà le sorti del paese ma sicuramente farà discutere. Come sempre, come vuole Michael Moore.