David Bowie: menestrello, astronauta, alieno, duca, camaleonte, stella nera.
Come cominciare a parlare di David Bowie? Un artista immensamente influente, protagonista di tutta la recente storia della musica, nomade tra i generi, inventore instancabile, schivo istrione, genio irrequieto. Un artista eclettico, poliedrico e trasformista: impareggiabile nella musica, dinamico nella recitazione, poetico nella stesura dei suoi testi.
Definito giustamente un camaleonte, in virtù della sua capacità, comune a pochi, di rinnovarsi, reinventarsi e rimettersi continuamente in gioco di fronte a nuove tendenze musicali sempre cangianti. Di decennio in decennio ha saputo restare un protagonista di primo piano dell’arte musicale, colpendo l’immaginario di una quantità immensa di artisti, con conseguenze che si sentono chiaramente ancora oggi.
Nato, come artista, in quello straordinario caleidoscopio di rinnovamento culturale noto come “gli anni sessanta”, Bowie inizia la propria carriera tra le file del folk psichedelico, scontrandosi con diverse insoddisfazioni prima di approdare ad un primo successo, nel 1969, con la canzone Space Oddity. La saga di un’astronauta hippie che si perde nell’esplorazione dello spazio profondo, chiamato Major Tom.
E penso che la mia navicella sappia da che parte andare
– Space Oddity, 1969
Al cambio di decennio Bowie si dedica appieno al nascente suono del glam rock britannico, ideando il personaggio di Ziggy Stardust, un musicista alieno proveniente da Marte, e dedicandogli un intero album. Si tratta dello storico The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars.
Attorno al personaggio nasce un intero mondo, e grazie a trovate come questa in quegli anni l’importanza dell’immagine per gli artisti rock aumenta vertiginosamente. Nello stesso periodo Bowie estende, a fianco del capace chitarrista Mick Ronson, la sua influenza oltreoceano, ad artisti come Iggy Pop e Lou Reed, che produce, portandoli al successo.
C’è un uomo delle stelle che aspetta nel cielo, vorrebbe venire ad incontrarci ma pensa che ci farebbe esplodere la testa
– Starman, 1972
A metà anni ‘70 dismette gli abiti glam e comincia a dedicarsi a progetti più complessi ed audaci, con album come Station to Station e Young Americans. Nasce un nuovo personaggio,il Duca Bianco (in inglese: The Thin White Duke). Qui David gioca con vari elementi di musica nera, soprattutto soul, funk e jazz, e collabora con musicisti del calibro di John Lennon.
È davvero una sorpresa che io per prima cosa ti respinga?
– Fame, 1975
A questo punto, normalmente, un artista comincerebbe a stancarsi, iniziando a produrre lavori via via sempre meno convincenti. Ma Bowie è tutt’altro che “normale”. Nel 1977 iniziano i lavori della celebre “Trilogia Berlinese”, costituita dagli album, celeberrimi, Low, Heroes e Lodger.
La trilogia, realizzata a stretto contatto con il geniale produttore Brian Eno e con l’influente chitarrista Robert Fripp, rivoluziona completamente la musica rock del periodo, raccogliendo le influenze completamente inedite della musica elettronica tedesca e consegnandole alla nuova generazione appena uscita dal punk, all’ansiosa ricerca di nuove idee.
Possiamo essere eroi, solo per un giorno
– Heroes, 1977
Negli anni ’80 i suoi successi continuano: Bowie si dedica a pieno tempo al blue-eyed soul, il “soul dei bianchi”, genere al quale molti cantanti della sua generazione si indirizzano in quel momento. La celebrità è massima, arricchita da collaborazioni con i Queen, con Mick Jagger e con Pat Metheny. Album come Scary Monstrs (and Super Creeps) e Let’s Dance continuano il successo dei precedenti, anche se in direzioni diverse.
Alla fine di questo decennio comincia a muoversi di nuovo indietro verso il rock, suonando con la band Tin Machine, mentre gli anni ’90 lo vedranno tuffarsi stavolta nell’elettronica sperimentale. Altri artisti con i quali collabora negli anni successivi sono Pet Shop Boys, Arcade Fire e TV on the Radio.
Gli ultimi quindici anni non sono stati forse i suoi migliori, fatti salvi gli ultimi due album: The Next Day, del 2013, e Blackstar. L’uno una nostalgica rivisitazione del passato e l’altro, Blackstar, pubblicato poco prima della sua morte, il 10 gennaio 2016. Un testamento profondo e intimista.
Guardate quassù, sono in paradiso
– Lazarus, 2016
La portata di ciò che David Bowie ha fatto, nel secolo scorso e all’inizio di questo, è talmente smisurata che è estremamente difficile parlarne in sintesi. Questo artista straordinario ha segnato in modo indelebile la musica, il cinema, la moda, la poesia… tutto il mondo, ed in qualche modo tutti noi. Canzoni come Heroes, Starman, Ashes to Ashes, Rebel Rebel, Fame o la stessa Space Oddity saranno ricordate tra centinaia di anni con lo stesso incommensurabile rispetto con il quale noi oggi guardiamo ad artisti come Mozart o Beethoven.