Fino all’ultimo respiro: il cinema francese e la musica americana.
Il primo e più famoso film di Jean-Luc Godard, À bout de souffle (titolo italiano: Fino all’ultimo respiro), arriva in un momento storico fondamentale tanto per il cinema quanto per la musica. Nel cinema, il film, assieme a I quattrocento colpi (Les quatre cent coups) di François Truffaut, segna l’esplosione della Nouvelle Vague francese e l’affermazione definitiva del cinema cosiddetto moderno o modernista.
Nella musica, la colonna sonora del film identifica un momento culturale nel quale il jazz è ai suoi massimi storici. L’anno è il 1960, ed è esattamente questo il periodo in cui escono alcuni tra i massimi capolavori del genere. Nel 1959 escono per esempio The Shape of Jazz to Come di Ornette Coleman, album fondativo del free jazz; e Time Out, del Dave Brubeck Quartet, disco fondamentale dello stile cool jazz. Proprio nel 1960, poi, giunge Giant Steps, il capolavoro massimo di John Coltrane (tolto forse A Love Supreme, 1965).
Insomma, è un momento in cui il jazz la fa da padrone, anche nel cinema. Le colonne sonore di parecchi film usciti in quegli anni sono colonne sonore jazz. Così per Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder, Otto Preminger, 1959), Lo spaccone (The Hustler, Robert Rossen, 1961), e ovviamente La pantera rosa (The Pink Panther, Blake Edwards, 1963).
Tutti quelli citati finora sono, non a caso, film americani.
Non è un segreto che uno dei precetti fondamentali della Nouvelle Vague (e specie dello stile di Jean-Luc Godard) fosse l’imitazione/omaggio al cinema americano. Specie di un certo cinema americano “pulp”: film gangster anni ’30 e noir anni ’40. Il protagonista ideale dei film di Godard, Jean-Paul Belmondo, è un duro che viene coinvolto continuamente in situazioni da romanzo, stile Humphrey Bogart. Egli vaga per le città tra alberghi, bassifondi, locali, e letti con qualche bella avventuriera sopra. Per colorare tutto questo, niente di migliore e di più “americano” del jazz.
Ecco allora la colonna sonora di Martial Solal, compositore francese di origine algerina (che all’epoca era colonia appunto francese). Musicista jazz pesantemente influenzato da Django Reinhardt e dallo swing, ma che qui mette bene in pratica anche la lezione appresa dai contemporanei stili hard bop. Un paio di singoli temi principali vengono continuamente ri-arrangiati e posti continuamente in dialogo tra di loro.
Nella colonna sonora di À bout de souffle viene rivisitato praticamente qualunque stile di jazz, dagli anni ’30 agli anni ’60, in una serie di omaggi che sono vignette pop e al tempo stesso capolavori a sé stanti. Si colgono sfumature alla Thelonious Monk e Duke Ellington; sfoghi orchestrali, al posto del piano il vibrafono (all’epoca usatissimo), e ritmi accelerati in stile bebop anni ’40.
In effetti, la colonna sonora di questo film, se presa come elemento a sé stante, si potrebbe tranquillamente considerare uno dei migliori lavori jazz di sempre. Se non altro per la fantasia e la maestranza compositiva. Ciò tuttavia è difficile a farsi, perché quella di Martial Solal è chiaramente una musica di commento, fatta per accompagnare il peregrinare dei personaggi del film. La struttura poi non è tanto quella di un album, quanto piuttosto quella di una suite classica. Gli stessi temi, come si è detto, vengono continuamente ripresi e riproposti in sequenza sempre diversa e con arrangiamenti sempre più fantasiosi.
In ogni caso, il lavoro di Martial Solal rimane altamente significativo, costruendo una colonna sonora praticamente perfetta e incidendo con i propri strumenti a corda e a fiato il proprio marchio su una svolta fondamentale della cultura del novecento. Fino all’ultimo respiro e la sua colonna sonora jazz sono un tutt’uno, un insieme di citazioni, riferimenti, appassionati omaggi a una cultura (quella americana) che si vuole utilizzare come sprone per un rinnovamento dei correnti linguaggi artistici. E poi, cos’altro volete che vi diciamo: è davvero musica stupenda.