Dopo la prémiere internazionale al Toronto Film Festival, tra le novità Netflix Originals trovate anche Hold the Dark: adattamento del bestseller omonimo di William Giraldi (2014).
Lo sceneggiatore Macon Blair (che per Netflix aveva già firmato la regia di un’altra produzione originale: I don’t feel at home in this world anymore) sceglie l’amico Jeremy Saulnier (Green Room, Blue Ruin) per l’adattamento di un thriller che in America ha già fatto scalpore: una trama fitta di vendetta, orrore e stress post-traumatico, ambientata tra la gelida Alaska e il fronte militare del Medio Oriente.
Macon Blair e Jeremy Saulnier sono collaboratori rodati, nonché amici d’infanzia: entrambi alternano volentieri i ruoli di sceneggiatore, regista e attore. Quanto al cast, Hold the Dark presenta davvero le migliori premesse: dividono il ruolo di protagonista Jeffrey Wright (alias Bernard della serie Westworld) e Alexander Skarsgård, divo svedese, capace d’essere al tempo stesso il vampiro Eric Northman di True Blood e lo sventurato sposo di Kirsten Dunst in Melancholia di Lars Von Trier. Direbbe qualcuno: buon sangue non mente. Alexander, infatti, è il primogenito dei 6 figli di Stellan Skarsgård: protagonista nel 1996 de Le onde del destino, attore-feticcio ed epitome del maschio brutale da Dogville a Nymphomaniac, ma anche interprete di una certa auto-ironia, quando attraversa il confine del musical con Mamma mia!, oppure visita l’Universo Avengers.
Hold the Dark di Jeremy Saulnier era un thriller circondato da una certa aspettativa. Purtroppo, a un cast praticamente impeccabile (completano il film James Badge Dale e Riley Keoughnella parte di Medora) non corrispondono script e regista all’altezza del gioco. La posta era decisamente ambiziosa: quell’immaginario che appartiene proprio al cinema di Lars Von Trier, all’avanguardia Dogma 95. O magari a una tradizione secolare, definita da Georges Bataille come Letteratura del Male: materia che oggi, tendiamo a rappresentare con l’aggettivo “disturbante”.
Il disagio, per lo spettatore di Hold the Dark non manca. Aggiungeremo però che il regista dell’horror-thriller Green Room, deve avere un’insana passione per i colori primari. Esterni giorno: Alaska, inquadrature panoramiche, blu lividi del cielo e bianco candido delle distese di neve. Interno notte: neri intensi, buio, volti scaldati dal calore naturale del fuoco. In mezzo c’è la scomparsa di un bambino, una madre in preda del delirio isterico, il cacciatore che decide di aiutarla (Russel Core/Jeffrey Wright).
Russel ha anche scritto un best-seller, un memoir: è il migliore esperto in Alaska, quanto a rapimenti operati dai lupi. Sul fronte mediorientale, combatte invece il padre del bambino (Vernon/Alexander Skarsgård).
Tra flashback, fast-forward e presente, la materia narrativa si perde irrimediabilmente nel vuoto. Per usare un termine sgradevole e americano: too much.
Tra nativi americani, guerre e orrore contemporaneo, Hold the Dark sembra il compito di un allievo diligente, preparato, ma tremendamente scontato. Sembra quasi che il regista cercasse la quadra tra un onesto prodotto di mercato e i grandi crismi del “Cinema d’Autore”. Peccato non bastino lunghi silenzi, dialoghi scarni, improvvise esplosioni d’orrore, abuso della dinamica tra estrema profondità di campo, primi piani e dettagli ravvicinati.
Non esiste una fantomatica ricetta autoriale. Quantomeno: qui mancano materie prime, sale e dosaggio. Per un film “disturbante”, il peggior crimine è risultare prevedibile. E con Hold the Dark, molti spettatori troveranno un silenzio assordante: quello della noia. Nota di demerito al commento musicale: qualche volta marziale, altre inutilmente melodrammatico. Peccato, Jeremy Saulnier. Quei due protagonisti erano materia per un film epocale.