Sulla Mia Pelle: un film imperfetto di cui abbiamo fortemente bisogno
Il grave problema ideologico che afflige la mentalità dell'italiano medio porta a sollevare critiche che infangano la divisa almeno quanto l'omicidio di Stefano Cucchi.
Può un film essere considerato un documento storico valido? Molti docenti e penne autorevoli dicono che sì, è possibile. Di riflesso, questo ragionamento è applicabile anche a Sulla Mia Pelle, il film sull’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, il cui caso è sulla lingua di tutti dal 2009. Quel maledetto ottobre del 2009 in cui un ragazzo è stato presumibilmente picchiato fino alla morte da alcuni tutori della legge. Un abuso di potere vero e proprio. Il film di Cremonini (QUI la nostra intervista col regista), presentato al settantacinquesimo Festival di Venezia ha suscitato emozioni contrastanti, la cui ideale asticella pende a favore di coloro i quali hanno provato sdegno. Anche e soprattutto grazie alla magistrale interpretazione di Alessandro Borghi negli sfortunati panni di Stefano Cucchi, ragazzo.
Pur mancando la cruda potenza visiva di Diaz di Daniele Vicari, Sulla Mia Pelle trascina lo spettatore nelle asettiche stanze vuote che hanno caratterizzato gli ultimi giorni di Cucchi, riuscendo a dare quel senso di claustrofobica solitudine che Cucchi provò negli ultimi giorni della sua vita. Un film, Sulla Mia Pelle, che non è privo di difetti stilistici ma che allo stesso tempo assolve il suo compito: quello di raccontare la Storia. Non si lancia dietro stereotipi di genere, tantomeno si lascia sopraffare da assolutismi. Rinuncia ad ogni faciloneria del caso, come quella di crogiolarsi nell’assolutistica (e sbagliata) equazione per cui “forze dell’ordine=maleassoluto“. Ancor meno avvia un processo che vede Cucchi martire di un sistema marcio. Nulla di tutto ciò.
Sulla Mia Pelle pone lo sguardo su un agghiacciante ed oscuro fatto di cronaca senza dare giudizio alcuno. Scomodando Manzoni, “ai posteri l’ardua sentenza”. Questo però non è bastato a molti, tanti, troppi gruppi di persone che hanno gridato allo scandalo contenutistico. Dichiarazioni aberranti e non propriamente imparziali che hanno lanciato accuse verso il film. Cito testualmente:
“È impossibile contenere lo sdegno per l’ennesima storia di ordinaria criminalizzazione di chi veste una divisa. A quando un film sul carabiniere Giangrande ferito a Palazzo Chigi? O sui poliziotti uccisi dal terrorismo rosso? A quando un film, pagato dallo Stato, sugli eroi in divisa? Basta con le gogne, le piaghe e le cicatrici che tanti appartenenti alle Forze dell’Ordine portano a vita ‘sulla loro pelle’.” (Franco Maccari, presidente FSP, Polizia di Stato)
Alle porte del 2019, chiunque conosce la brevissima storia dell’uomo che indica la luna e dell’altro che guarda il dito. Il livello è all’incirca questo. Come accadde per Diaz, come accadde per Romanzo Di Una Strage, i sindacati delle forze dell’ordine italiane si sono scagliati contro chi racconta una pagina oscura della storia d’Italia. Come se il problema fosse il racconto del fatto e non il fatto stesso. Come la solita, imbarazzante nenia che dobbiamo ascoltare quando una donna viene stuprata: la colpa ricade sempre sull’abbigliamento, in primis. Ragionamenti figli di una ideologia malata e benaltrista che non punta a stroncare il problema sul nascere ma tende a spaccare inutilmente il capello in quattro. E che sposano l’imbarazzante e mafiosa omertà.
Soffermandoci sul caso Sulla Mia Pelle, in particolare si denota una completa assenza di spirito critico da parte di chi si è approcciato a questo film e si è lasciato andare al giudizio di cui sopra. Anzi, un problema di comprensione di quanto visto (ammesso che il film sia stato visto). La potenza di Cremonini si trova tutta nel riuscire a non generalizzare e non creare ruoli fissi. Anche e soprattutto perché il regista non mostra in alcun modo le percosse subite da Cucchi o la sua eventuale caduta dalle scale. Non vi è quella dialettica feroce tra vittima e carnefice perché non è quello a cui il film punta.
Sulla Mia Pelle racconta, ai limiti di un irritante stile didascalico, ciò che è avvenuto secondo le ricostruzioni dei fatti. Quelle stesse ricostruzioni che hanno portato la riapertura del processo, anche grazie alla testimonianza del carabiniere Riccardo Casamassima, vittima di mobbing e minacce dopo aver testimoniato contro i suoi colleghi.
Ciò che si evince, al netto di un processo ancora in corso, è la paura che effettivamente venga a galla una verità nascosta. Perché nin questo film non vi è alcuna criminalizzazione se non negli occhi di chi guarda in malafede. Dicevano il latini “excusatio non petita, accusatio manifesta“. Dove però l’ excusatio è un attacco da parte di chi sa di essere colpevole ma non lo vuole ammettere. Di chi presumibilmente ha infangato uno Stato democratico ed una divisa. Di chi pensa che il raccontare un omicidio (di Stato?) sia più sbagliato rispetto all’omicidio stesso.
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