Il poli-artistico Lenny Kravitz esce con il nuovo disco Raise Vibration. Vediamo insieme cos’ha architettato stavolta.
Chi conosce e apprezza la musica di Kravitz sa bene quanto in ogni suo lavoro sia pronto a spiazzare e cercare soluzioni originali. Nella sua carriera è riuscito a mescolare un sano pop a elementi di ogni genere, dal rock al funk, dalla disco al soul. Non è sicuramente il primo ad aver adottato questa soluzione ma grazie alle sue ottime doti canore, le buone capacità compositive e poli-strumentistiche, è sempre riuscito a creare prodotti originali. Come si sarà comportato stavolta con Raise Vibration dopo una pausa di ben 4 anni?
Un disco all’apparenza senza alcun difetto.
Ascoltando traccia per traccia l’ultima fatica di Lenny Kravitz ci troviamo di fronte a brani ben studiati e confezionati. Perché allora cercare il pelo nell’uovo? Probabilmente, per quanto l’intero Raise Vibration si lasci ascoltare facilmente e in modo scorrevole dall’inizio alla fine, si avverte costantemente la sensazione che manchi qualcosa. La partenza è ottima, con la traccia We Can Get It All Together. Una buon apripista dal groove trascinante e un’ottima botta e risposta tra basso trascinante, cori e voce principale. Risulta perfetta infatti per far spazio alla canzone sicuramente più riuscita dell’album: Low.
Il singolo estratto infatti è sicuramente la traccia più riuscita dell’intero progetto. La “classica” canzone alla Lenny Kravitz, un funk trascinante dalla trasudante carica erotica. Il tutto si può vedere come una relazione sfuggente o un vero e proprio rapporto sessuale. Musicalmente è perfettamente calibrata con sezioni più aperte e con la ritmica che va e viene in modo incalzante nei momenti giusti. Il ritornello è quel pop riuscito che penetra in testa senza via d’uscita ma che al contrario dei tormentoni estivi questo non disgusta al momento che ci facciamo caso.
Who Really Are the Monsters? come per la traccia d’apertura mette a nudo le idee e il credo del musicista. Un mondo corrotto dall’odio, crudele che non rispetta gli altri. La guerra non finirà finché non smetteremo di sganciare bombe, il testo non lascia assolutamente interpretazioni. Una critica accompagnata da una base hip hop elettronica e condita da assoli di chitarra e sax.
Dopo un inizio scoppiettante, l’album prende strade diverse.
La title track Raise Vibration è sicuramente un esperimento particolare con ottime soluzioni ma non del tutto riuscita. Le sezioni in cui Lenny Kravitz canta accompagnandosi solamente con la chitarra appaiono un pelo troppo ridondanti e finiscono per stancare. A contrastare il tutto però ci pensa una parte centrale dal profumo western anni ’60, una composizione in tutto e per tutto ispirata al leggendario Morricone. Il finale vede invece un “ritorno” al tribale, alla natura dell’uomo. Un inno di pace forse poco incisivo.
Con la traccia Johnny Cash, Kravitz prende in prestito il prestigioso nome del Man in Black per raccontare il proprio dolore per la perdita della madre. Le difficoltà si superano con il vero amore, lo stesso che ha legato per 35 anni Johnny Cash alla moglie June Carter.
Here to Love torna a parlare di pace e lo fa in modo decisamente più incisivo rispetto a Raise Vibration. Una ballata dai canoni fin troppo classici ma che, pur con un testo decisamente semplice, riesce a far entrare in empatia con le parole al suo interno.
L’inno di protesta verso un mondo corrotto sia emotivamente che ideologicamente è ciò che It’s Enough vuol rappresentare. Un singolo che funziona, un pianoforte accompagnato da un basso incalzante e il classico motivetto vocale strappacervello.
Tutto più leggero e rilassato.
Da questo punto in poi l’album diventa meno serio con il solo compito di divertire con le note. 5 More Days ‘Til Summer parla di libertà ed è accompagnata da un arrangiamento folk rock nel modo più classico possibile. The Majesty of Love è perfettamente funk. Sensuale sia nelle note che nel testo, impossibile stare fermi durante l’ascolto. Più di un occhio strizzato verso la divinità del genere Stevie Wonder.
Gold Dust è vita, un dono che non può essere comprato o venduto. Una canzone che unisce rock psichedelico e oniricità a una punta di revival anni ’80. Non poteva poi mancare la ballata zuccherosa e piena d’amore. Ride è proprio questo, un brano al cui interno si possono trovare tutti i crismi della canzone pop in cui vengono inseriti angeli, cieli paradisiaci e una promessa di eternità.
In chiusura troviamo I’ll Always Be Inside Your Soul. Probabilmente la canzone meno riuscita dell’album. Al suo interno troviamo un testo volutamente interpretabile tra amore di coppia, verso un figlio o un’ennesima allusione sessuale. Fin qui nessun problema, al suo interno però la componente musicale è decisamente ai minimi termini e le sonorità non brillano per naturalezza.
Tiriamo le somme.
Raise Vibration è un buon album, ottimo prodotto che può essere ascoltato anche per lunghi periodi. Al suo interno possiamo trovare ottimi singoli, primo tra tutto Low. D’altro canto ha poche vette e manca la classica energia vocale di Lenny Kravitz. La critica sociale è buona, condivisibile, ma non del tutto efficace. Un mix di buone cose che però non riescono a esaltarsi l’un l’altra. Come detto a inizio articolo, se prendiamo le tracce prese singolarmente ci troviamo di fronte a ottimi brani che però non funzionano del tutto legati insieme. Continueremo ad ascoltare Raise Vibration in attesa di un nuovo bel lavoro di Lenny Kravitz, magari con più rabbia sul fronte vocale.