Sulla mia pelle, abbiamo incontrato Alessio Cremonini, il regista di uno dei film più interessanti e chiacchierati presentati in concorso alla 75° edizione del festival di Venezia. Alessio ha deciso di raccontare la storia di Stefano Cucchi, vicenda nota ai più, perchè possa far riflettere, ma per sua stessa affermazione, Sulla mia pelle non ha portata critica o politica, e non vuole farsi denuncia. Leggete cos’ha detto riguardo il suo film, la vicenda in question e Netflix.
Sulla mia pelle non è un film politico – Intervista al regista Alessio Cremonini
Alessio Cremonini Sulla mia pelle, innanzitutto voglio chiederti, perché hai scelto di raccontare proprio questa storia? Una vicenda che è ancora una ferita ancora aperta che ha lasciato un segno indelebile non solo sulla pelle dei cari di Stefano Cucchi, ma anche sulla storia dell’Italia e della giustizia italiana.
La domanda che mi hai fatto, a ben guardare, contiene la risposta: perché è una storia che all’inizio sembra piccola, “un banale” arresto per una dose non importantissima di hashish, e che poi invece finisce, tra varie traversie, tragicamente. Perché un cittadino entrato vivo, è uscito morto dal nostro sistema giudiziario. E questo ci riguarda tutti.
Oltretutto la vicenda di Stefano Cucchi assomma tutte le stazioni della “via crucis” dove avvengono vicende simili alle sua, penso al caso Aldrovandi o a quello di Riccardo Magherini: l’arresto in strada, poi il tribunale, le celle di detenzione sotto il tribunale, poi il carcere e poi le celle detentive in un’area dell’ospedale carcerario che è quella di Sandro Pertini. Insomma, tutti i luoghi in cui passano i detenuti, in quei sette giorni Cucchi li ha passati tutti. Quindi, in questo senso, il caso di Stefano Cucchi è un atroce riassunto di tanti altri casi simili al suo.
In Italia, potremmo dire, che ha fatto scuola un certo cinema di denuncia politica e sociale, basti pensare ad Elio Petri. E’ una tendenza che però è andata scomparendo negli ultimi anni. Tu credi sia ancora possibile per il cinema poter mettere in luce soprusi e ingiustizie, denunciandole?
Il mio non è un film politico. Non è assolutamente un film politico. Petri, che era un genio assoluto e ti ringrazio che lo citi facendo l’intervista con me ma nel suo caso parliamo di persone che hanno fatto la storia del cinema mondiale, faceva film con un chiaro intento politico. Il mio, al contrario, Sulla mia pelle denuncia una situazione grave, che mostra allo spettatore quello che è accaduto ad un nostro concittadino. Ma il mio film non si vuole sostituire, e non ha assolutamente l’ambizione di farlo, al giudizio della magistratura. Un film non è un’aula di giustizia.
Tanto è vero che alcune cose in Sulla mia pelle non vengono appositamente raccontante: perché sono e saranno ancora per diversi anni sotto indagine. Siamo al primo processo contro i cinque carabinieri accusati, ognuno di vari crimini. Ripeto accusati, non giudicati. Quindi il mio film non si sostituisce alla giudici, ne tantomeno ha questo desiderio recondito. Quello che nel mio film viene mostrato, però, visto che viviamo in un paese che si definisce democratico, dovrebbe indurci a porci alcune domande. Il mio film non da risposte preconfezionate ma propone delle riflessioni allo spettatore.
E qual è il tuo intento?
Quello di raccontare una storia con quello che di cui siamo oggettivamente sicuri. Quando leggevo le diecimila pagine di verbali dei processi con Lisa Nur Sultan (con cui ho scritto la sceneggiatura), ero sconvolto dallo stato fisico in cui versava Stefano Cucchi. E ho capito che mostrare quel percorso di sofferenza fosse la strada giusta per il film: Stefano Cucchi ha perso sette chili in meno di sette giorni e aveva due vertebre rotte. Insomma, volevo che lo spettatore seguisse passo passo il calvario di quel ragazzo e Alessandro Borghi è stato assolutamente straordinario nell’interpretarlo. E’ riuscito ad incarnarlo perfettamente.
Il cinema ha questa forza: ridare carne, ridare vita, a chi è stato, silenziato per sempre. Perché il girotondo mediatico, dei testimoni, ecc parla sempre di qualcuno che non puoi più parlare, replicare. Il cinema invece fa questo, può ri-raccontare, ridare carne, appunto. E mostrare anche cose che nessuno, o quasi, sapeva: per esempio non credo che in molti sapessero che Stefano Cucchi era credente e stava facendo un percorso religioso.
Raccontare è anche questo. Poi ognuno si fa la sua idea, lo spettatore si fa una propria idea ed è giusto così. Io ho una mia idea molto precisa di quello che è successo a Stefano Cucchi, ma è una mia idea come cittadino: vale come la tua, come quella di tutti. Ricordiamoci che siamo ancora in attesa di una sentenza definitiva.
Sulla mia pelle è un film di cui si parlava ormai già da un po’, e ha suscitato non poche polemiche (leggete QUI per scoprire di più) tra le istituzioni giuridiche e le forze dell’ordine. La lavorazione ha riscontrato difficoltà o ostacoli da parte delle forze dell’ordine, anche a livello produttivo magari?
A livello produttivo non ho incontrato nessun ostacolo. Perché la prima persona con cui ho parlato del progetto, la mia produttrice Olivia Musini insieme al padre Luigi, mi ha subito risposto “sì, lo voglio fare”. Poi Olivia e Luigi Musini hanno avuto la sensibilità e l’accortezza di trovare compagni di viaggio straordinari come Andrea Occhipinti della Lucky Red e Netflix con cui abbiamo fatto un ottimo percorso insieme. Quindi dal punto di vista produttivo non potevo chiedere di meglio.
Poi questo è un paese democratico, perché le forze dell’ordine avrebbero dovuto crearci problemi? Sarebbe assurdo pensare che avremmo potuto avere problemi. Siamo in Italia, non in una dittatura. Le forze dell’ordine, non sono monolitiche. Sicuramente ci sarà qualche cittadino in divisa che apprezzerà Sulla mia pelle e qualcun altro che non lo apprezzerà, ma questo è naturale, normale. Ho letto dichiarazioni di rappresentati delle forze dell’ordine che non avevano alcun problema sul fatto che fosse stato fatto un film dopo 10 anni dalla morte di Stefano Cucchi. Dieci anni è un tempo congruo per una riflessione cinematografica. Ci sono stati vari libri che hanno raccontato questo, migliaia di articoli, decine di ore televisive. Perché invece un film dovrebbe destare scalpore?
Sulla mia pelle è stato accolto molto bene al festival di Venezia, ricevendo ben 7 minuti di applausi. Era presente anche Ilaria Cucchi. Tu come hai vissuto l’esperienza di un festival così importante, che è anche una vetrina così importante per il film?
Chiaramente è stato un grande onore: noi abbiamo aperto la sezione “Orizzonti” che è una sezione prestigiosa del festival. Ilaria era presente com’è giusto che fosse: Stefano era suo fratello. Lei e l’avvocato, Fabio Anselmo, e tutta la famiglia Cucchi, da 9 anni portano avanti una battaglia per una verità che a volte sembra sfuggire.
Attendiamo, finalmente, che la giustizia possa mettere su questa vicenda la parola “fine”. Che non sia la prescrizione però. Che ci sia una parola definitiva, ma che non sia la prescrizione. Perché la prescrizione è la palude in cui finiscono troppe cose che vorremmo vedere risolte, e che invece si arenano. Quindi io lo spero per Ilaria Cucchi e la sua famiglia, ma anche per noi cittadini.
Per quanto riguarda la sorella di Stefano, Ilaria. Che ruolo ha avuto e in che modo ha collaborato alla scrittura e alla realizzazione di Sulla mia pelle? Cosa ha significato per lei poter raccontare la sua storia attraverso un mezzo come il cinema?
Ovviamente non ha collaborato alla sceneggiatura: non scriviamo film sotto dettatura. Sono molto felice che a lei sia piaciuto, e abbia detto cose straordinarie su uno straordinario Alessandro Borghi. Era la persona più indicata, perché era il fratello, e quindi lei sapeva perfettamente come Stefano si muoveva, come parlava. In Sulla mia pelle si sente anche la vera voce di Stefano durante il processo per direttissima che aveva subito dopo l’arresto, e quindi si può notare, anche dal punto di vista vocale, il lavoro eccezionale di mimesi che ha fatto Borghi.
Quindi per me la commozione delle 1500 persone che hanno visto il film insieme a noi a Venezia e ci hanno così tanto applaudito è importantissimo e commovente. Sì, ci ha ha commosso tutti. Siamo tutti molto onorati, di quello che è avvenuto a Venezia. Evidentemente questo era un film che andava necessariamente fatto, il pubblico lo “voleva”.
Da qualche parte ho letto che Sulla mia pelle era quello di cui il cinema italiano aveva bisogno.
Sì, lo testimoniano anche queste proiezioni clandestine, credo siano decine in tutta Italia. Da un punto di vista sociologico ci dicono quanto le persone avevano “bisogno” di un film su Cucchi. (QUI) Chiaramente va detto che le persone che vedranno Sulla mia pelle in queste proiezioni autodefinitesi clandestine, vedranno un film che per motivi tecnici è l’ombra di quello che è realmente.
Io, sinceramente, spero che queste persone vadano al cinema, piuttosto che vedere il film da un segnale Netflix proiettato su uno schermo. E’ come se da un fazzoletto volessimo fare un tappeto: il fazzoletto si strappa. Ecco, proiettare il segnale Netflix sul grande schermo vuol dire distruggere tutti i colori e il sonoro, perché “spappoli” tutto: allo stesso modo di una foto che viene ingrandita per cercare di farne un manifesto. Per chi fa cinema questo è terribile. E un po’ piange il cuore, ecco.
Da questo punto di vista, come consideri la scelta di Netflix di non far passare un film dalla sala?
No, noi lo passiamo in sala. Il 12 esce sia su Netflix che in sala. (cliccate QUI per scoprire dove) Per quanto riguarda Netlix, è una loro politica di non far passare dalla sala. Vedo ci sono molti film di geni assoluti del cinema contemporaneo che hanno condiviso questa scelta. Tu sei più giovane di me, io ho 45 anni. Quando ero 20enne; faccio quest’esempio che sembra bislacco ma secondo me non lo è; a piazza di Spagna aprirono il primo McDonald a Roma. E allora, erano gli anni ‘80, tutti quelli che avevano le osterie lì attorno, ma anche a Trastevere quindi più lontano, fecero delle polemiche dicendo di voler chiudere McDonald, perché altrimenti tutti sarebbero andati lì. Ora, 30 anni dopo, un racconto del genere fa sorridere, sembra un altro mondo.
Io credo che fra qualche anno queste polemiche tra cinema e Netflix saranno bypassate dal fatto che il cinema rimarrà, perché è uno spettacolo così straordinario che non può non rimanere, la sala. Però c’è un’altra possibilità, che è quella di vedere film su Netflix o altre piattaforme. Comunque Netflix da là possibilità di vedere un film come il nostro in 190 paesi. Per esempio, una storia come quella di Stefano Cucchi può essere vista negli Stati Uniti con grande facilità, dove ci sono milioni di italiani di 2° o 3° generazione, che non parlano più l’italiano e non avrebbero la possibilità di vederlo al cinema. Un film come il nostro, probabilmente, uscirebbe in una sala a New York e una a Los Angeles. E questo vale per l’Argentina, e moltissimi altri paesi.
La produzione è riuscita a richiamare nomi interessanti nel cast, uno su tutti Alessandro Borghi. So che ha perso addirittura 20 chili per poter interpretare Stefano, una profonda immersione nel personaggio. Quanto cuore gli ha infuso e quanto interesse c’era nel volerlo interpretare?
Totale. Alessandro è una persona di grandissimo cuore, talento e altrettanto impegno. Alessandro finisce di lavorare sul set e dopo mezz’ora ti richiama per discutere le scene per il giorno dopo, e magari ha lavorato per più 10 ore di fila. Tutti noi lavoriamo 10 ore, ma ti assicuro che in un film come Sulla mia pelle per un attore c’è una difficoltà anche psicologica, oltre che fisica, da dover gestire. Lui ha perso 18 chili, quindi era molto stanco, perché era proprio al suo limite.
Alessandro ci credeva moltissimo in questo progetto. Non posso parlare per Alessandro, ma l’ha detto lui più volte quindi non credo di dire niente di sbagliato: la cosa che l’ha convinto ad accettare è stata la sceneggiatura. Da lì è partito tutto. Ha capito che il progetto non era quello di fare un film contro qualcuno, ma per qualcuno. Per Stefano Cucchi.
E raccontare in maniera quanto più oggettiva possibile, cos’era accaduto a Cucchi in quelle ore. E raccontandole dando precedenza assoluta proprio a Stefano. Sulla mia pelle inizia dal momento dell’arresto e prosegue fino al giorno in cui i genitori possono finalmente vedere il cadavere. Dico finalmente, perché all’inizio non gli era stato neanche concesso. L’80% del film è incentrato su Stefano e quindi Alessandro Borghi ne ha portato il peso più grande. Lavorare con lui è stato fantastico: io sono veramente affascinato dal suo metodo di lavoro. Abbiamo avuto un colloquio continuo, franco, aperto, creativo. Lui ci ha messo anima, cuore, carne, sangue. È stato commovente veramente commovente. Spero proprio che nel futuro ci sia un altro film con lui.
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