La band newyorkese è tornata con il sesto album in studio, Marauder, che però non aggiunge nulla di nuovo alla loro discografia
Marauder è il prototipo perfetto della musica degli Interpol, la cui storia va ricordata. All’inizio degli anni 2000, New York ebbe quello che fu definito un rinascimento musicale. Ci fu un nuovo impulso allo spirito creativo della città, con l’avvento di una scena musicale particolarmente vivace. Composta da nomi come The Strokes, Vampire Weekend e ovviamente gli Interpol, la scena indie come la conosciamo, nacque da qui.
Proprio questi ultimi, con l’album d’esordio Turn On The Bright Lights, si fecero riconoscere come una band di punta della scena. Da lì, la carriera degli Interpol fu in discesa: consolidato il loro stile, continuarono a produrre ottimi prodotti musicali, caratterizzati da un sound avvolgente e magnetico. Un sound che funzionava così bene, che purtroppo hanno deciso di continuare ad usare, senza dare spazio ad un cambiamento stilistico che ,dopo più 15 anni, si potrebbe comprendere. Marauder non è ovviamente da meno.
La sindrome degli AC/DC
Sicuramente tutti avranno già letto la classica critica fatta agli AC/DC: artisti portentosi, ma sembra che stiano suonando la stessa canzone da 40 anni. Gli Interpol si sono trovati nella stessa situazione stilistica: un sound ben oliato e funzionale, assolutamente personale, che tuttavia non trova possibilità di evoluzione nel tempo. Ascoltando la discografia degli Interpol, ci si renderà conto della totale stagnosità del loro stile.
Rientra nella sindrome degli AC/DC la fortuna che, nonostante l’assoluta ripetitività, le canzoni scritte non sono mai davvero brutte canzoni. Marauder per quanto assolutamente noioso, è un ottimo album, se considerato quello che il fan medio degli Interpol si aspetta. Linee di basso post-punk, batteria con ritmo serrato che gira tutta intorno al rullante e la chitarra che conosce solo il riverbero sulla pedaliera. Questi sono i marchi di fabbrica degli Interpol.
Sul piatto, quest’album porta sempre gli stessi elementi, nonostante c’erano i presupposti per un cambio stilistico. L’album infatti è il primo in assoluto non auto-prodotto dalla band, che stavolta si è affidata a Dave Fridmann, già produttore di Mogwai, Flaming Lips e Tame Impala. La differenza, però non si è notata quasi per nulla. Il produttore avrebbe proposto di registrare su nastro, quindi in analogico, con l’idea di trasportare l’energia da ”live” anche su disco, con scarsi risultati.
Una piccola evoluzione tematica
Le canzoni di Marauder sono decisamente più personali rispetto agli altri lavori. Paul Banks, frontman della band, ha affermato che il titolo può essere riferito a se stesso durante più canzoni dell’album. Un passo avanti rispetto ai testi molto astratti (quasi generici alle volte) dei primi lavori. Il singolo If You Really Love Nothing ad esempio, è stato scritto interamente su un’esperienza personale di Banks, che ha affermato di aver voluto iniziare a lavorare sulla canzone, partendo proprio dal titolo. Non sono pochi i momenti nostalgici e pieni di rimorso nell’album, dovuti alla rottura di Banks con la sua compagna. Il dolore, almeno, è un ottimo punto di partenza per scrivere musica.
Con il nuovo album gli Interpol tentano di tagliare i ponti con alcuni elementi che hanno fatto parte del loro stile, ma senza voler cambiare di una virgola musicalmente. La maggiore autobiograficità dei testi o l’apporto esterno di un produttore non possono davvero significare molto, senza un decisivo cambio musicale.
A parte questo, l’album è ben scritto e confenzionato e sicuramente lo zoccolo duro della fanbase della band sarà contento. Si spera, comunque, che il prossimo album non suoni ancora come la colonna sonora di un ritorno a casa in taxi di un giovane trentenne che si è appena mollato con la ragazza e si chiede perchè ha studiato giurisprudenza invece di fare fotografia.