Uno spirito malvagio, forse un demone, o più semplicemente lo Slender Man. Una creepypasta nata circa un decennio fa che trovò le sue fortune attraverso internet. Una serie di passaparola e racconti di inspiegabili sparizioni di bambini per mano di questa figura senza volto, alta tre metri, ben vestita e con dei tentacoli sulla schiena. Poi un videogame indie per smartphone, oggettivamente spaventoso e minimalista. Per poi arrivare ad oggi, al film sullo Slender Man. A differenza di I Bambini di Cold Rock, diretto dal Laugier di Martyrs, e da come si evince dal titolo, il film del francese Sylvain White, punta proprio sulla figura affascinante del rapitore paranormale. Ma il risultato è decisamente scadente.
Parlare oggi dello Slender Man può apparire anacronistico, tanto è il tempo che è passato dai fasti 2.0 dell’Uomo Esile. E se a questo vi si aggiunge l’estetica da jumpscare del solito film horror mainstream, ecco che il danno è detto fatto. Il voler mescolare a questo qualche spunto di J-Horror, paradossalmente va a peggiorare la situazione. Slender Man si presenta sin da subito come uno dei più semplici e stereotipati teen horror in cui quattro amiche fanno il più classico dei pigiama party a casa di una di loro. E così, tra una battuta ed uno shot di vodka (che solo si intuisce perchè guai a far vedere delle minorenni che bevono), si apre internet e si evoca un demone, attraverso un video di immagini inquietanti e sconnesse. Ed ecco che troviamo il primo richiamo a Ringu di Hideo Nakata.
Ma non esce Sadako (o Samara) dallo schermo. Quanto più lo Slender Man inizia ad infestare i boschi della piccola e ridente cittadina americana. E giacché le quattro amiche lo hanno evocato, una non si sa quale logica impone che diventino oggetto del desiderio della creatura demoniaca. Bisogna scappare, bisogna capire come farlo sparire. Prima che sia troppo tardi ovviamente. E, sempre ovviamente, le cose non vanno mai per il verso giusto. Si potrebbe quasi parlare di occasione sprecata se non fosse che il personaggio Slender Man sia ormai abbastanza anacronistico. Tuttavia, il voler riportare in augé un qualcosa passato in sordina ormai da tempo, può sempre essere ben accetto soprattutto in casi come questo dove il potenziale abbonda. Non fosse che il film presenta una serie di problemi difficilmente ignorabili.
La scelta di volersi addentrare nel teen horrror deve necessariamente includere una parte di formazione che però non viene in alcun modo contemplata. Manca il senso di unione nelle protagoniste che pensano più a salvaguardarsi gli affari loro che non quelli del collettivo. Quattro amiche ben lontante dall’essere i bambini protagonisti di IT. Chi in preda a tempeste ormonali, chi sull’orlo della follia, ecco che lo Slender Man prende piano piano il sopravvento. Come? Con una videochiamata che ricorda molto il The Call di Miike. Qui si vede qualche spunto registico discreto ma il contesto nel quale viene inserito non premia certo Sylvain White, regista di film dimenticabili. Slender Man soffre di problemi di scrittura notevoli che rendono tutto molto pretestuoso e scontato. Ed anche le buone trovate vanno a perdere il loro effettivo valore, come gli inframezzi onirici.
Il contesto totalmente illogico su cui si muove il film rende tutto eccessivamente poco credibile agli occhi di qualunque spettatore. Anche quelli più impressionabili faticheranno a farsi soggiogare dalle paure, tanto Slender Man è scontato. Il ritmo incalzante, solitamente un pregio, mette ancor di più in luce l’illogicità su cui si muove il film. Un film che comunque preferisce la comoda via dello spavento forzato nonostante il contesto e la leggenda dello Slender Man si presti molto più facilmente alle atmosfere. Il fatto che questo film sia ispirato a fatti realmente accaduti nel 2014 dovrebbe essere un valore aggiunto. In realtà appare solo una scelta di cattivo gusto legata più al sentimento speculativo che ha creato non pochi problemi alla produzione.