Il poeta con l’armonica a bocca è sceso in piazza a Trani, come un artista di strada, e non ce lo siamo lasciati scappare.
Francesco De Gregori è una delle poche figure intoccabili nel panorama musicale italiano: scrittore prima che compositore, artista prima che cantante. E tutte le generazioni di cui è stato simbolo (almeno quattro) si sono riversate in Piazza Duomo a Trani il 20 agosto, con la maestosa cattedrale romanica sullo sfondo, insieme a giovani e giovanissimi che ancora recitano le poesie fatte musica di uno dei più grandi cantautori che l’Italia abbia mai avuto.
Dietro la piazza, prima che inizi il concerto, si respira già arte insieme all’attore Alessandro Haber, amico e ispirazione di De Gregori (il cantautore ha dedicato proprio a lui il brano La valigia dell’attore, contenuto nell’omonimo doppio album dal vivo), che, accompagnato da Cosimo Damiano Damato, ha recitato e spiegato versi di Bukowski, Prévert e dello stesso De Gregori, con un trasporto emotivo indescrivibile. Ogni singola parola sembrava colpire nel profondo Haber, che con fare bukowskiano e voce alla Tom Waits si è abbandonato all’emozione più di una volta. Il tributo di un maestro ad un amico, prima che collega, e la dimostrazione che non c’è alcuna differenza tra le varie declinazioni dell’arte.
L’esuberanza poetica di Haber viene spezzata, pochi minuti dopo, dall’imperturbabilità dell’amico cantautore.
Mezz’ora dopo, puntualissimo, Francesco De Gregori e la band salgono sul palco, senza presentazioni o entrate ad effetto. Niente batterista, solo il basso incalzante, chitarra elettrica e pianoforte, che intonano un blues pieno di groove che si sposa benissimo con l’inconfondibile voce del cantautore.
Ci vuole un po’ prima che si instauri un rapporto tra il pubblico e l’artista, in pieno stile De Gregori: dopo aver suonato una magnifica versione di Caterina e Il Cuoco di Salò (accompagnati magistralmente da assoli di armonica eseguiti da lui stesso), esordisce con “Io ho scritto un sacco di canzoni nella mia vita, alcune bellissime, altre meno belle… Sicuramente non brutte. Ma questa canzone qui l’ha scritta Bob Dylan. Quindi se non vi piace… Pigliatevela con lui! Si chiama Non è buio ancora.“ Se non avesse una personalità artistica così forte già di per sé, De Gregori sarebbe tranquillamente chiamato “Il Bob Dylan italiano”. Il maestro, però, non ha bisogno di paragoni, per quanto illustri possano essere.
Non c’è una nota di un singolo brano in tutto il concerto che non sia impregnata di emozione.
De Gregori non è esattamente un intrattenitore, ma di sicuro è un artista: piuttosto che fare il cabarettista, canta. La più banale delle azioni che un cantautore possa fare su di un palco. Il modo in cui lo fa, però, non è certo banale.
La scaletta spazia tra brani allegri e movimentati (Vai in Africa, Celestino!, Titanic, una cover di 4 marzo 1943 dell’amico Lucio Dalla), struggenti (Generale, Falso movimento, Buonanotte fiorellino) e malinconici (Alice, La leva calcistica della classe ’68), e nonostante la voce di De Gregori sia sempre e solo quella lì, ogni pezzo ha una sfumatura diversa, la giusta sfumatura. Ogni pezzo è carico di un’emozione che nessun disco potrà mai dare. Sembra banale, ma è la magia dei concerti, che sempre più spesso viene lasciata da parte.
Proprio mentre risuona La donna cannone (che ha fatto scendere la lacrima a moltissimi), qualcuno del pubblico sussurra: “Un artista di strada, De Gregori è un artista di strada“. Non potrebbe esserci descrizione più adatta. L’artista di strada, vicino alla gente non con le semplici parole ma con l’arte stessa.
De Gregori suona quasi due ore, senza sbagliare un colpo.
Dopo la canonica uscita, il palco si rianima e De Gregori esordisce con un bicchiere di vino presentando “la sua bellissima sposa” Alessandra Gobbi (in arte Chicca, come lui stesso l’ha chiamata), con una sorta di imbarazzo adolescenziale, salvo poi riprendere il controllo della situazione per duettare con la consorte sulle note di Anema e Core e chiudere con una versione country di Rimmel con tutta la piazza a fare l’eco alla sua voce.
Un artista di strada, sì, nel miglior senso possibile. O più semplicemente “artista”, come lui stesso preferisce essere definito. Perché l’arte non è solo musica, poesia, teatro, cinema, pittura; è Francesco De Gregori che ancora si emoziona reinterpretando i brani che ha scritto e cantato quarant’anni fa. E un’intera piazza che canta insieme a lui.