Con il loro terzo album in tre anni, gli inglesi Slaves proseguono un percorso già iniziato di auto-ricerca, più sonora che lirica. Distante dalle atmosfere punk confezionate del primo album, Are You Satisfied? (2015) e più vicino al precedente Take Control (2016), il nuovo disco del gruppo sembra voler seguire una direzione di sviluppo stilistico. Anche se non è ben chiaro quale questa direzione sia.
In Acts of Fear and Love, gli Slaves suonano una commistione di punk rock, post-punk e indie rock molto chitarristico e marcatamente british. Che il disco segni una maturazione e un allontanamento dall’immagine costruita e adolescenziale dei cattivi ragazzi dei primi loro singoli è fuori di dubbio. Che questo allontanamento stia effettivamente portando da qualche parte, è invece cosa ancora dubbia.
I due, Isaac Holman e Laurie Vincent, sembrano un po’ dei Sex Pistols che, avendo già realizzato il proprio Nevermind the Bollocks, non hanno il coraggio di evolversi nei Public Image Ltd. In Acts of Fear and Love, come nell’album precedente, lo stile è sempre più introspettivo e le composizioni sono chiaramente più “attente”. Segno di crescita.
Ma al di là di questo, è difficile considerare un album come quello qui recensito un vero passo avanti. Sembra più un passo, peraltro timido e insicuro, nel buio. Gli Slaves continuano a restare uno dei nomi più interessanti della scena punk inglese, e ancora più interessanti in questa annata di importanti uscite di carattere post-punk (come gli Shame). Ciononostante, sembra proprio che a Holman e Vincent manchi ancora qualcosa, un appiglio decisivo per capire chi vogliono essere e come vogliono diventarlo.