Il nuovo (cloud) rap di Bari, che finalmente fa sul serio

Tra Peroni in riva al mare e Yung Lean, ci facciamo raccontare la genesi della nuova scena di Bari da chi ci è nato dentro.

Rap di Bari
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Un giro per Bari e la sua nuova scena trap, tra chi fa sul serio e chi vuole solo cavalcare la wave.

Se parlando di “trap” vi fermate a Sfera Ebbasta e nella vostra mente si materializza un bicchiere pieno di Sprite e codeina, sappiate che state sbagliando tutto. Ogni mattina dieci, cento, mille aspiranti (t)rapper si svegliano, prendono in mano un microfono e dicono quello che vogliono, come vogliono. Alcuni vogliono fare musica, altri vogliono solo copiare.

Ogni mattina, Davide Mariani, in arte DURKa, si sveglia e sa che dovrà farsi strada nella giungla urbana del capoluogo pugliese e nell’ancora più fitta selva di rapper, trapper, “reseller” (per citare Tedua) che da qualche tempo girano per Bari e dintorni. Ci siamo incontrati una mattina di luglio, e ci ha portati in giro per la sua personale Ciny, per spiegarci un po’ come gira la situazione quaggiù. Perché la scena di questa città, mai emersa a livello nazionale nel campo del rap, ha una grossa particolarità: è la più variegata da qualche anno a questa parte. Cloud, trap, old school, tutto condensato in pochi studi di registrazione sparsi per le stradine di Bari e in un gruppo di amici.

La scena è gremita di “artisti”, ci conferma Davide, utilizzando volutamente le virgolette: “Ve lo dico chiaramente: c’è chi vuole fare roba seria, rivendicare la propria autonomia artistica, e c’è chi vuole copiare. Non vi faccio nomi, ma ci sono, lo sapete benissimo. E com’è che queste persone aprono i concerti dei pezzi grossi? Pagando. Ve lo dico onestamente perché io non ho niente da nascondere”. Davide ha negli occhi la fotta di chi ama quello che sta facendo e odia chi non lo ama; quando ci sediamo di fronte al porto con una Peroni in mano, inizia a parlarci di lui, indubbiamente uno dei più interessanti della scena, data la sua costante voglia di spingere oltre una musica che a molti sembra già arrivata al capolinea.

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DURKa davanti ad una Peroni mentre ci parla di Yung Lean e del suo concetto di “trap”.

“La gente si fossilizza, fra’. Un pezzo “tecnicamente” trap puoi farlo diventare conscious, lo-fi, boom bap. Con il rap puoi scrivere quello che vuoi, con la trap puoi fare quello che vuoi.”

“Ho iniziato con il rock, poi il rap mi ha rapito per la sua capacità di espressione. Potevi dire le parolacce, potevi parlare di scoparti le tipe e nessuno poteva dirti nulla. Ho iniziato a scrivere e gettare via i miei testi, finché con Gianmarco (Gianmarco Biancardi, in arte Dherj, uno dei producer con i quali DURKa collabora nonchè suo grande amico) ho cominciato a registrare due inverni fa, e l’estate scorsa ho pubblicato North Dakota, il primo pezzo. E ora è fuori SINS, un mixtape di quattordici tracce. Con quei soldi mi sarei tranquillamente potuto pagare un video con le jeep e le puttane, ma non mi interessa. Non sono tipo da singolo, e un video tamarro lo farei mai”.

Ascoltare quattordici tracce di un emergente, quando Kanye West e Nas fanno dischi di sette pezzi, è difficile e dà un’idea della sicurezza di DURKa e di quanto creda nei suoi pezzi. “Stendermi in casa e riascoltare il mio mixtape è bellissimo, anche se appena uscito dallo studio raramente mi piace la traccia. Ho passato davvero tantissimo tempo su questi pezzi, affinché fossi soddisfatto di ognuna nei minimi dettagli.

Poi il riscontro della gente c’è stato e mi ha fatto piacere, ma non è una questione di views, altrimenti non avrei fatto uscire quattordici tracce insieme. Me ne sbatto meno di zero delle views, così come dei video: il primo video che ho girato neanche avrei voluto farlo, mi hanno quasi costretto. E se proprio devo fare dei video, mi concentro sui dettagli e su qualcosa di più raffinato, “psichedelico”, e cerco di variare. Devi sempre fare qualcosa di nuovo, sia rispetto a ciò che già c’è che rispetto a ciò che tu hai fatto.”

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“A me interessa la musica.”

“Non guardo nemmeno i video degli artisti che mi piacciono. La musica è l’importante, quello su cui mi concentro, altrimenti altro che quattordici tracce, si stancano alla seconda. Anche i beat non voglio lasciarli solo al produttore: non posso solo farmi passare le basi, non ce la faccio, devo sentirle mie. “(Sfidiamo qualunque altro rapper emergente a seguire ogni fase di realizzazione di un beat e a non farselo passare). Ribatto dicendo che anche Future si fa passare i beat. “Vabbè fra’ (in quel di Bari è abitudine chiamare – fra’ – qualsiasi persona; ha un po’ la funzione del “bro” o del “dude” americano, ndr), stiamo parlando di un genio che è affiancato da un altro genio. Metro Boomin’ sa perfettamente cosa passare a Future e Future sa esattamente che Metro Boomin’ non sbaglia un colpo. Stiamo parlando di altri livelli.”

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La trap viene vista come musica facile? “Sì, ed è colpa di chi non la prende sul serio, dei bambini, passami il termine. Sono felicissimo che arrivi a tutti come linguaggio, ma bisogna anche capire cosa si sta facendo. Molti la prendono come una scadenza, io invece ho una fotta assurda addosso, più faccio e più voglio fare. Il mio mixtape è solo una cerimonia d’apertura. E un modo per far capire chi ha i coglioni a Bari e chi vuole solo fare cazzate.”

” Non sono uno che se la tira, ma non mi importa di chi non fa le cose sul serio. Un leone non dà importanza ad una gallina.”

Gli chiediamo quali siano i suoi trapper preferiti, e non ha dubbi: Ketama 126 e Tedua. “Ketama viene dal futuro e Tedua è uno di quegli artisti che arriva una volta ogni cento anni“. Poi aggiunge Luchè: “Fa arte, niente da dire”.  Parlando propriamente di rapper andiamo sul classico: Noyz Narcos, Rkomi e Marracash. “Marra sta lì e non si tocca, è la vera incarnazione dell’MC, del Master Of Ceremony, sa intrattenere con la voce come pochi altri”.

Andiamo sugli stranieri: “Yung Lean (da sempre mia ispirazione), Travis Scott e Trippie Red, che nella nuova wave sta facendo molto bene. Poi nel rap ci sono J Cole, Kendrick e Tyga, che hanno un approccio che mi ha colpito tantissimo.” Parliamo di Achille Lauro e della samba trap: “Per me non è qualcosa di nuovo, e comunque non puoi idolatrare qualcosa solo perché è “innovativo”, altrimenti mi sarei messo a campionare i rutti“.

Un disco che ti piace: “Mi ha fatto impazzire il nuovo album degli Arctic Monkeys.” (ridiamo insieme). Gli diciamo che è una delle pochissime persone al mondo alle quali piace. “Onestamente è molto chill, premo play, mi distendo e lo ascolto, funziona molto sotto questo punto di vista, poi non sono un fan storico quindi l’ho potuto apprezzare al meglio. Che poi è la wave del momento, ed è quello che fa Drake: l’ultimo disco conta venticinque pezzi, e ormai sta in qualsiasi playlist. Scorpion è il capitalismo.” (ride).

Ma non c’è solo DURKa, in questa scena.

Ci raggiungono poco dopo Elìte, all’anagrafe Antonio Lamagna, amico e collega di Davide, e il produttore Dherj. Sono tutti ragazzi: Davide ha diciotto anni, Antonio e Gianmarco quasi 19. Ed è parlando con loro che ci rendiamo conto di quanto sia viva e pulsante questa città, di come DURKa non sia un caso isolato e di quanto, forse più che in molte altre grandi città, a Bari ci sia la voglia di rivendicare la propria originalità. Nonostante questo, DURKa è felice come un bambino quando gli dico che mi ricorda tantissimo Yung Lean: “Era esattamente ciò a cui volevo avvicinarmi, quindi non può che farmi piacere. Sono riuscito ad assomigliare al mio artista di riferimento senza sembrare una copia, è semplicemente fantastico. Mi sento realizzato.”

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Elìte ci spiega perchè Malammore è ancora superiore a Potere.

Ci sediamo su una panchina che si affaccia sul lungomare con Elìte, in polo Lacoste e Adidas Powerphase. Elìte fa un rap più classico e più incazzato rispetto a DURKa, e sente ancora di più l’inflìteuenza negativa di chi non prende le cose sul serio. ” Io ascolto un sacco di roba, cerco di spaziare e di sperimentare; adoro Pino Daniele, ma anche Marracash e 21Savage, i Linkin Park e i Sum 41. Non ce la faccio a vedere la trap associata sempre al solito immaginario criminale, mi dà davvero fastidio. Bisogna riuscire ad andare oltre, come Luchè. Malammore o Potere? Per ora dico Malammore, è ancora il top. Però ora ti faccio sentire un pezzo mio”. Ci fa sentire IDGAF, un brano arrabbiato in cui cambia almeno tre flow, e non posso che fargli gli applausi.

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I Don’t Give A Fuck sarebbe un riassunto perfetto di Elìte. Faccio ciò che voglio, e il resto non mi importa.

Dherj invece ci spiazza subito dicendoci che non viene dal rap ma si è avvicinato direttamente alla trap e che Justin Bieber è sempre stato una delle sue più grandi influenze. “Dimmi quello che vuoi, non me ne vergogno, ascolto Justin Bieber da quando sono piccolo. Sono nato con il pop e sono passato alla trap, con un brevissimo intermezzo di West Coast ed East Coast. “Nell’hip hop invece? “tha Supreme è allucinante, e ha due anni in meno di me. Non ho mai sentito nulla del genere.

Ah, e i $uicideboy$, li adoro. Vorrei suonare esattamente così. Comunque l’artista dell’anno è senza dubbio Tredici Pietro (il nome d’arte del figlio di Gianni Morandi, trapper emergente, ndr).” (ridiamo tutti quanti). DURKa però non è d’accordo: “Dai fra’ ma sei serio?”. Dherj si dimostra comunque irremovibile.

Constatare come qualsiasi stereotipo sui giovani trapper crolli immediatamente dopo una mezz’ora di chiacchierata con questi ragazzi dà un’enorme sensazione di sollievo. La loro cultura musicale, il modo in cui parlano (sicuramente infarcito di slang ma non pieno di “gang”, “bitch”, “swag”, “bufu”) e ciò che ci stanno dicendo sono una fiera dichiarazione di autonomia: ci piace la trap, che è un genere come un altro. Basta relegarlo agli ex-spacciatori con sneakers da ottocento euro e collane d’oro.

“Alla fine la trap è un sottogenere del rap, diciamoci la verità. In un pezzo trap posso raccontare la mia vita in carcere come posso spiegarti la Critica della Ragion Pura. Perchè i rapper possono essere intellettuali e i trapper no?“.

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Dherj ci rivela i suoi guilty pleasures e il suo amore per i $uicideboy$.

DURKa e Dherj ci fanno ascoltare un pezzo mai pubblicato. “Sono sicuro che vi piacerà” ci dice Davide, mentre Elìte già pregusta la nostra faccia all’ascolto. Il brano contiene il campionamento del rumore che fa l’aspirina quando si scioglie in acqua, ed è il pezzo che meno mi sarei aspettato da un trapper di diciotto anni. C’è la tecnica, ci sono le rime, c’è l’impronta personale.”Non chiedeteci perchè abbiamo deciso di usare il suono dell’aspirina. Mi è venuto in mente, l’ho proposto a Davide e l’idea gli è piaciuta tantissimo. Credo che andare avanti voglia dire anche questo: sperimentare, provare, credere nelle idee nelle quali non crede nessuno.”

Nonostante il nuovo trend nella trap sia creare personaggi provocatori (Young Signorino, sul quale abbiamo speso due parole, e Tredici Pietro stesso), qui a Bari non vogliono ricorrere a trucchetti del genere: solo musica, onesta e sempre un passo avanti rispetto alla traccia precedente. Il messaggio è chiaro: Bari vuole ritagliarsi il posto che merita nel rap nostrano, non essere un’industria che sforna meteore.  “Forse non capisco la wave ma per me hai solo la faccia dipinta”, sentenzia DURKa in OBSCURIO. E così dev’essere. Qui a Bari non c’è storia.

La nostra giornata con gli ambasciatori della nuova scena barese è raccontata qui sotto negli scatti di Savio Gorgoglione, che ringraziamo per la collaborazione. Un grazie a DURKa (Davide), Elìte (Antonio), Dherj (Gianmarco) e Bobby.

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