Ancora non è finita. L’ultima canzone, Outside the Wall, nel disco si lega alla prima, quella iniziale, In the Flesh? Le parole “Is this…” che si odono al termine dell’ultimo atto si allacciano infatti, in un cerchio senza fine, a quelle presenti all’inizio dell’intero spettacolo: “… where we came in?”
Allora riparte In the Flesh, la canzone che domanda allo spettatore:
So you thought you
Might like to go to the show
To feel the warm thrill of confusion
That space cadet glow
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you want to find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise
E tutto ricomincia, in un loop senza speranza.
Nel corso degli anni lo spettacolo è stato rivisto e arricchito. Per esempio, è ormai consuetudine che i vari personaggi della storia siano rappresentati da altrettanti pupazzi giganti, come quello del maestro di scuola o della minacciosa madre. Nel 1983 è uscito il film Pink Floyd – The Wall, diretto da Alan Parker, con protagonista Bob Geldof nella parte di Pink (il nome, significativo, che viene dato al protagonista), e sequenze animate di Gerald Scarfe. Proprio i disegni di Scarfe hanno fatto poi da base per la grafica dei pupazzi già citati.
Nel film il concept di The Wall viene completato da due nuove canzoni: What Shall We Do Now?, che riassume l’effimerità della vita, e When the Tigers Broke Free, canzone molto sentita che parla direttamente del padre di Roger Waters, Eric Fletcher Waters, morto ad Anzio, durante la guerra, nel 1944. Un “mattone”, questo, che per Waters costituisce forse la base su cui poggiano tutti gli altri. E, volendo da qui chiudere un ulteriore cerchio molto più ampio, ha perfettamente senso che una delle più famose rappresentazioni di The Wall (fatta dal solo Waters, senza i Pink Floyd dai quali era ormai uscito) sia avvenuta nel 1990, in Germania, per festeggiare l’anniversario del crollo di un altro muro, sorto proprio con la guerra. Il muro di Berlino.
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