Come si può spiegare Inland Empire? Nessuna interpretazione può esser definita corretta. Nessuna è inesatta. L’opera che, al 2018, rimane il suo ultimo film, è un capolavoro astratto, silenzioso, che nasconde in profondità realtà celate, la cui cripticità dei contenuti ne fanno il film più complesso di DavidLynch che qui estremizza tutta la sua arte, rendendolo anche il più difficile da interpretare. Una specie di ritorno alle origini, all’utilizzo di quei elementi complessi e disturbanti che componevano il film d’esordio, Eraserhead, due delle opere più sperimentali del regista. Ad oggi personalmente penso sia un capolavoro come pochi, in grado di scuotere, stupire e porre allo spettatore interrogativi e suggestive interpretazioni inerenti il suo svolgimento. E’ la mente messa alla prova, è nella mente la soluzione di ogni enigma.
Mettetevi l’orologio. Accendetevi una sigaretta, ripiegate una stoffa di seta e usate la sigaretta per creare una bruciatura, un’apertura all’interno della stoffa. Quindi guardate attraverso il buco, fino in fondo, finché non vi ritrovate a caderci dentro, attraversandolo. Questa è una metafora per osservare (o sentire secondo Lynch) il film, ed è uno dei modi per assorbire Inland Empire. Modus operandi che è, infatti, specificamente mostrato nel film stesso. Dopotutto, si tratta apertamente della relazione tra il film e l’osservatore, l’attore e la performance.
“Inland Empire ha una storia completa, solo che c’è la storia e il modo in cui la storia è raccontata, e poi ci sono storie che sono solo in superficie e storie che racchiudono astrazioni. Qualcosa di non concreto che ha a che fare con il sentire, con l’intuire. È questo che amo del cinema.”
Inland Empire – L’impero della mente
Los Angeles. Una giovane squillo di origini polacche piange nella stanza di un hotel dopo aver consumato un rapporto con un cliente, mentre alla televisione una sitcom mostra misteriose figure di conigli dall’aspetto umano. Nel mentre l’attrice Nikki Grace vuole conquistare il ruolo di Susan nel film On High in Blue Tomorrows. Il giorno precedente all’audizione, la sua anziana vicina di casa le fa visita, assicurandole che otterrà la parte, poi inizia a farle domande sulla trama del film. Durante le riprese, l’identità di Nikki si trasforma nel suo alter ego simulato fino a non riuscire più a distinguersi, ed entrambe, sia Nikki che Sue, precipitano in un oscuro legame sentimentale con l’attore protagonista, Devon, e con il suo personaggio, Billy. Molteplici storie si intrecciano attraverso la città di Los Angeles, la trama appena abbozzata sfocia in un estuario di depistaggi in cui l’ordine cronologico diviene vago, dove non esistono confini tra sogni e realtà. Nikki comincia a confonderle entrambe, rivede se stessa, scappa dietro le quinte finendo in altre realtà. Qui ritrova il marito nei panni di un’altro personaggio che, avuta la notizia della gravidanza della moglie, reagisce violentemente: il bambino non può essere suo, perchè affetto d sterilità. Nikki, abbandonata e distrutta, viene ferita da una donna all’addome con l’uso di un cacciavite. La protagonista muore sul marciapede della Walk of Fame mentre una mendicante le dice “Niente più bui domani”. Ed è in quel momento che ci accorgiamo di essere sul set di On High in Blue Tomorrow e rivediamo la macchina da presa diretta da Kingsley. A morire è stato solo il personaggio interpretato da Nikki, Sue Blue. Terminato il film l’attrice si allontana quasi ipnotizzata, entra in una sala cinematogorafica, attraverse corridoi, sale e scale, ritrovandosi infine nella stanza dei conigli vista nella sitcom. Ma quest’ultimi non ci sono più. Si accorge di essere osservata dalla giovane squillo polacca, la vera protagonista del film. Nikki riuscita finalmente a raggiungerla, la bacia per poi scomparire nel nulla. La ragazza polacca finalmente è libera di andarsene, fugge dalla stanza per riabbracciare la sua famiglia.
Potremmo partire definendo Inland Empire un film in digitale, in tutto e per tutto. Non tanto perché Lynch lo abbia girato con una fotocamera digitale PD-150 della Sony innamorandosi della texture spessa, malleabile e instabile dei video digitali (dove la più brillante luce solare di Los Angeles può divenire vuota e terrificante come la notte più scura). Il film si svolge in un mondo totalmente digitale (una replica della coscienza stessa, da cui il titolo), dove gli eventi si realizzano in più luoghi contemporaneamente (o più volte nello stesso luogo), gli spettatori sono ovunque e le realtà sono infinitamente ripetibili e modificabili.
Inland Empire si presenta come un film di Hollywood (e un film su Hollywood), oltre ad essere la summa del cinema di Lynch (assieme alla recente terza stagione di Twin Peaks) con il quale rivisitiamo virtualmente spazi, immagini e volti (Laura Dern, Justin Theroux, Grace Zabriskie, Harry Dean Stanton) che ci riportano inevitabilmente ai film precedenti del regista, anzi paiono fondersi in esso. Perché nell’Impero della mente, nessuno può rimembrare se oggi è il domani, o tra due giorni, perché ieri e dopodomani stanno tutti vivendo il tempo presente o, come ci dice la Zabriskie nel film:
“Si, beh, io non riesco nemmeno a ricordare se oggi è oggi o due giorni fa o forse ieri. Suppongo che se fossero le 9 e 45 io direi che era dopo la mezzanotte. Mettiamo il caso che oggi fosse domani, lei neanche si ricorderebbe che aveva un conto ancora in sospeso da pagare. Un azione, qualunque azione ha delle conseguenze. Ciononostante ci resta la magia! Se fosse domani lei sarebbe seduta su quel divano.”
Ma probabilmente sono cose che già saprete se avete affrontato Inland Empire, ed è la miglior cosa da fare per assorbire l’universo racchiuso nel film, e perché è praticamente impossibile per me semplicemente recensirlo. Lo stesso Lynch ha dichiarato che ognuno è libero di darne la propria interpretazione.
Ha una storia che sfocia in più storie, tutte intrecciate e interconnesse in vari nodi ma strutturate come una rete più che come un filo. L’esempio più limpido è l’attrice Laura Dern che all’intero del film interpreta un’altra attrice hollywoodiana di nome Nikki Grace che a sua volta venne ingaggiata per interpretare il personaggio di Sue Blue nel film intitolato On High in Blue Tomorrows, diretto da Kingsley (il regista) e con il co-protagonista Devon nel ruolo di Billy Side. Si scopre che il loro film potrebbe essere una sorta di remake di una pellicola che non è mai stato terminata a causa di qualcosa che è andato storto, “qualcosa all’interno della storia”, come lo descrive Kinglsey.
Ed Inland Empire è anche difatti un film sulla recitazione, costruito attorno a una gigantesca prova attoriale di Laura Dern che si occupa di regalarci una performance imponente. Vive (ed è vissuta) da molteplici universi lontani e differenti che si fondono in labirinti mentale dove sono presenti simultaneamente realtà, (meta)cinema, inconscio, presente, passato. Nikki e Susan, due derive che si specchiano dentro un’unica anima, unite dalla stessa minaccia e dalle stesse paure. Destini diversi ma paralleli, divisi da un confine inafferrabile quanto netto, irrazionale quanto reale.
E come predetto da Kinglsey, ad un certo punto qualcosa all’interno della storia va storto, la molla dell’orologio scatta avanti e indietro e le molteplici trame volano in tutte le direzioni, dall’intersezione di Hollywood e Vine Street fino a raggiungere la Polonia. Appaiono volti, fantasmi, puttane, animali, barboni e circhi. Come fossero immagini frattali, ogni singolo frammento del film contiene al suo interno una rappresentazione di se stesso a scale differenti, rivelandone i dettagli ad ogni ingrandimento. C’è il corridoio oscuro, le scale spaventose, la pistola nel cassetto, la clamorosa sequenza della seduzione, il dialettico teatrale, la camera da letto/prigione, la scena di sesso, l’inquietante prefigurazione, la sala teatrale, le inquadrature ravvicinate degli occhi che piangono davanti alla sitcom con i conigli. Dettagli che vengono deliberatamente scomposti perché il classico tessuto connettivo è stato modificato, rimosso o sostituito.
Lynch sa che tutte le sue storie confluiscono nella nostra mente. Le analizziamo, le modifichiamo, le adattiamo. Inland Empire gioca con le nostre aspettative narrative fedeli al film, riga per riga, girato per girato, scena per scena e persino bobina per bobina. Gioca con le reazioni, la soggettiva, ma soprattutto utilizzando primi piani per farci guardare i volti in modi completamente diversi. È pura poesia, riconosciamo le singole unità di significato, ma la grammatica e la sintassi sono state alterate. Un’opera d’arte inquietante e allo stesso tempo irresistibile, un lungo sogno/incubo ad occhi spalancati, che rivela elementi nuovi ad ogni ulteriore visione. Tre ore di emozioni contrastanti, in un continuo passaggio da realtà a sogno, da delirio a delirio, da paranoia a paranoia, da film a film.