Il caso Spotlight. Una storia di potere e coraggio.
Miglior film agli Oscar del 2016 (stasera su Rai Movie alle 21:10), la pellicola diretta da Tom Mccarty racconta la mastodontica impresa della redazione Spotlight, un gruppo di coraggiosi e temerari giornalisti.
Se si riflette su un’istituzione come la Chiesa e sul suo potere secolare, il pensiero di intentarle una causa appare ridicolo, per utilizzare un eufemismo. Ma non per i membri di Spotlight, non per l’allora neo direttore Marty Baron che diede la decisiva spinta propulsiva per dar via all’inchiesta.
Un giornale locale ha nelle proprie mani la possibilità di diventare grande, con una storia che, per la sua portata, ha pochi eguali nel giornalismo d’inchiesta. Per farlo, tuttavia, risulta fondamentale l’apporto di giornalisti temerari, che non si fermano difronte a nulla. E quei giornalisti sono i membri della redazione Spotlight: Walter Robinson, Mike Rezendes, Sacha Pfeiffer e Matt Carroll.
Una storia sull’arcivescovo di Boston, reo di aver insabbiato numerosi casi di pedofilia, si dimostra essere solo la punta di un iceberg che aspetta da anni di essere portato a galla. La portata dello scandalo va’ via via ingigantendosi sempre di più, al limite dell’umanamente realizzabile. Il fine ultimo diventa quello di sgominare non qualche caso, ma l’intero sistema.
La strada, tuttavia, è sicuramente tortuosa. I reporter di Spotlight realizzano col procedere dell’inchiesta di trovarsi difronte a un’istituzione che ragiona in termini di secoli. Proprio per questo motivo, il film conduce un’attenta e approfondita riflessione sul potere.
Potere che, in questo caso, fa’ del suo secolare radicamento sul territorio il suo principale punto di forza. Infatti è proprio in virtù di ciò che i membri di ogni diocesi conoscono bene le famiglie cattoliche del posto, per le quali rappresentano un imprescindibile punto di riferimento. E’ così che molti parroci, quasi come faine, riescono ad insinuarsi nelle debolezze delle famiglie più fragili, attecchendo così su bambine e bambini in grande difficoltà .
E’ questa la dinamica attraverso la quale i preti colpevoli di queste nefandezze perpetrano un abuso non soltanto fisico, ma soprattutto spirituale, nei confronti di bambini, spesso appartenenti a famiglie povere, per i quali l’attenzione di un prete è una grandissima cosa. Chi è stato colpito da abusi, è marchiato per sempre. Sono pochi coloro che riescono a sopravvivere, senza chiedere aiuto a una bottiglia o a una siringa, e ancor meno coloro che riescono a denunciare.
In un vasto mosaico di veli sollevati, uno dei più rilevanti è sicuramente quello sulle cause alla base di questi spregevoli comportamenti. La Chiesa ha sempre tentato di far credere che si trattasse di qualche mela marcia, ma Il caso Spotlight mostra come il fenomeno degli abusi sia diffuso e di rilevanza psichiatrica, per questo da curare.
I protagonisti di questa inchiesta si trovano così a doversi confrontare con un’istituzione che tutela le proprie mele marce, che sa’ spingersi talmente in là da rimuovere atti giudiziari da un tribunale, da portare davanti alla commissione dell’ordine degli avvocati il legale delle vittime. Una vera e propria piovra che esercita un’enorme pressione sui singoli che vi si oppongono.
Con l’incalzare di una colonna sonora perfettamente conforme al dramma raccontato, Il caso Spotlight ci mostra come i tentacoli di questa enorme piovra siano costituiti dai membri dell’alta società di Boston, colpevoli di conoscere la storia e di aver girato la testa dall’altra parte. La pellicola vuole così dichiarare come quest’abominevole ignavia equipari coloro che sapevano e non hanno fatto nulla ai carnefici veri e propri.
E’ soltanto una delle innumerevoli frasi con cui Robby e i membri di Spotlight vengono scoraggiati, velatamente intimiditi nel portare avanti questa folle impresa. Ed è a questo punto che diventa fondamentale il ruolo degli outsider. Fondamentali per l’esito della storia si rivelano infatti coloro che sono lontani dalle dinamiche della città , dalla fitta rete di amicizie e clientele, dall’intrecciato tessuto fra Chiesa e borghesia.
In particolare sono Mike Razendes, Mitch Garabedian e Marty Baron, interpretati in maniera convincente da Mark Ruffalo, Stanley Tucci e Liev Schreiber, a risultare determinanti per l’esito della vicenda. Un reporter portoghese, un avvocato armeno e un direttore ebreo sono il cuore pulsante dell’inchiesta.
La tenacia e la rabbia di questi uomini, che diventa la rabbia dello spettatore, per la capacità di McCarty di coinvolgerci emotivamente e immetterci dentro la storia, sono le armi che riescono a far sgominare loro il sistema a cui hanno dato la caccia. Quella condotta dal Boston Globe non è una crociata contro la fede cristiana, valore eterno, ma contro la Chiesa, istituzione costituita da uomini.
Una storia che ci mostra quali siano il senso e il dovere più profondo del giornalismo, riesce nella missione di dimostrare che nessuno può farla franca, nemmeno la Chiesa, nemmeno il papa. Non possono farla franca per l’atroce colpa di aver turbato irrimediabilmente le candide anime di quei bambini che Razendes ascolta cantare in Chiesa, con la nuova consapevolezza di quell’inconfessabile segreto che potrebbero portare dentro.