Estremamente moderna ma fortemente radicata all’interno della tradizione cinematografica, la fantascienza ha da sempre ossessionato le menti di registi e sceneggiatori;
affascinando, meravigliando e seducendo gli spettatori da decenni, a partire dal cinema di Georges Méliès. Innovativa e derivativa, la cinematografia fantascientifica ha da sempre trovato terreno fertile nella letteratura mondiale, attingendo anche – e specialmente – da romanzi quali Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, gli scritti di Isaac Asimov e 1984 di Orwell, l’opera che ha più esercitato il suo influsso nella settima arte, dando vita a film simil-1984, che rievocano esplicitamente l’immaginario orwelliano.
Libero, rivoluzionario e totalmente anarchico, il romanzo di George Orwell risulta, a distanza di circa settant’anni, ancora terribilmente attuale.
I film che si ispirano a 1984 sono tanti, forse anche troppi. Attraverso l’elaborazione di stimoli presenti all’interno del romanzo, numerosi registi, figli della letteratura orwelliana, hanno plasmato veri e propri capolavori del genere.
Come per le dieci pellicole simil-1984 esposte qui di seguito.
I film sono disposti in maniera del tutto casuale.
The Lobster (Yorgos Lanthimos, 2015)
Quarantacinque giorni per trovare la propria anima gemella. In un futuro prossimo che assume l’aspetto di un presente alternativo, essere single è reato. Coloro che, rimasti soli, non riescono a trovare un compagno di vita vengono trasferiti in un bizzarro hotel. Bisogna trovare la propria metà, prima di essere trasformati in animali.
Rievocando esplicitamente un immaginario simil-1984, la pellicola di Yorgos Lanthimos suscita una sensazione di solitaria desolazione, di rassegnata isolazione e di angosciosa tristezza.
Singolare e intrigante, The Lobster viviseziona l’amara ipocrisia di una società che, esasperata fino a diventare comunità distopica, emargina il diverso, confinandolo in una solitudine forzata dal carattere asfissiante; di una società che ripudia l’amore, il quale, perdendo ogni suo più sacro valore, assume l’aspetto di una costrizione, di una nececessità; di una società in cui l’individualità viene totalmente rifiutata, ripudiata, annientata.
Blade Runner (Ridley Scott, 1982)
In una Los Angeles desolante, città fatta di luci evanescenti e di immagini illusorie, dominata da spazi indefiniti e dalla rigida geometrica degli edifici, metropoli buia e piovosa dipinta di ferro e ruggine, luci ed ombre, oro e acciaio, dove ogni riferimento temporale sembra esser svanito.
Ridley Scott plasma un capolavoro che non avrebbe bisogno di presentazioni, un noir fantascientifico che analizza disparate tematiche, quali il rapporto tra naturale e artificiale, tra uomo e macchina.
Attraverso la creazione di un futuro distopico e malato, crudele e sbagliato, dominato da un’umanità vacillante, di un mondo laico dove i valori etico-religiosi sembrano aver lasciato spazio a neon sfolgoranti, cartelloni pubblicitari iridescenti e ologrammi chimerici,Blade Runner è una pellicola imprescindibile nel paesaggio fantascientifico, diventando pietra miliare della storia del cinema.
In un futuro distopico in cui l’umanità non assiste ad una nascità da diciott’anni, in cui i profughi vengono isolati in campi dove soffrire la fame e patire la sete, in cui le città vengono giornalmente sconvolte da guerriglie e atti terroristici, si intravede un barlume di speranza.
La società tratteggiata da Alfonso Cuarón in I figli degli uomini ha perso totalmente la fiducia nel prossimo, sconvolta dalla violenza del caos e della distruzione, una società fredda e ghiacciata, gelida e apatica, come la magistrale fotografia di Lubezski.
Di forte ispirazione orwelliana, la pellicola del regista messicano – che si si sviluppa come una massacrante critica alla modernità, ad una società simil-1984 e alla situazione politica odierna – si distingue per la violenta potenza delle immagini e della narrazione esposta, in cui la catastrofe assume le caratteristiche – esasperate – della quotidianità.