Hereditary – La recensione del nuovo horror che è già cult

Hereditary
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Hereditary è la vera sorpresa horror di quest’anno. Un film che sa lasciare di stucco lo spettatore, proiettandolo in una dimensione da incubo, dove niente è prevedibile e tutto può accadere.

Un’opera ansiogena e a tratti disturbante, capace di gestire in modo intelligente la tensione ed il terrore, senza sfociare in espedienti banali o già visti in precedenza. Ari Aster, regista esordiente, riesce ad imbastire così uno spettacolo grottesco affascinante, che gioca con l’inconscio e con le paure più primordiali. Il male questa volta proviene dalla famiglia, dal luogo delle certezze e delle stabilità. Una donna, una madre di due figli, si trova improvvisamente costretta fronteggiare l’ignoto, un terrore senza volto che non solo inquieta, ma che sa anche come uccidere.

Annie Graham (Toni Collette), questo il suo nome, è un’artista affermata per le sue miniature; pregevoli ricostruzioni delle stanze della sua casa, delle persone che la abitano e dei luoghi che ricrea minuziosamente su commissione. Un’espediente narrativo interessante e che viene usato molte volte dal regista per lasciar trapelare che un qualcosa o un qualcuno, manovri le vite dei protagonisti, proprio come se fossero dei semplici bambolotti.

Hereditary

Un’opera brillante, che trova la sua ispirazione in Rosemary’s Baby di Roman Polanski e in tutto quel cinema fatto di sensazioni e simbolismi, in grado di scavare nel profondo della psiche umana, turbando lo spettatore la dove è più vulnerabile.

Hereditary quindi è un film che sa come far paura e che sa farlo nel modo più convincente possibile. Il misticismo, l’occultismo e lo spiritismo, sono i tre ingredienti principali dell’opera, elementi preponderanti e usati per creare un’atmosfera malsana e indecifrabile, dove l’ignoto è il vero nemico. Un lavoro che appare fin da subito difficile da inquadrare durante la prima visione, non solo per l’imprevedibilità degli eventi che lo caratterizza, ma anche per ciò che propone e per come lo porta su schermo. Un’opera che nonostante la sua durata, riesce ad intrattenere egregiamente, senza mai incorrere in tempi morti e non permettendo alla noia di impadronirsi dello spettatore.

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Hereditary potrebbe essere definito quasi come un delirio, un urlo soffocato lanciato in piena notte d’innanzi al terrore, ma senza avere alcuna possibilità di potersi muovere. Lo spettatore infatti si vede costretto, proprio come i protagonisti, ad assistere a scene grottesche e volutamente esagerate, che portano in scena una follia, a tratti lovecraftiana, dove il male puro è il vero antagonista.

HereditaryAri Aster si dimostra in più di un’occasione abile con la macchina da presa, fornendo inquadrature interessanti dal punto di vista concettuale, dando l’impressione di essere sempre dentro alle miniature della protagonista.

Una scelta stilistica vincente, perfettamente in linea con l’atmosfera dell’opera e che sa amplificare la sensazione di incertezza e di dubbio che aleggia su tutto il costrutto narrativo. La fotografia è un’altra nota positiva, sempre all’altezza della situazione, mai fuori contesto e sempre capace di enfatizzare le emozioni provate durante la visione. Colori cupi, freddi, taglienti per dare maggiore spessore ad un terrore atavico e primordiale, che si discosta fortemente da tutte le altre opere uscite in questi anni per il cinema di massa.

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Ovviamente però Hereditary non è un capolavoro, e nemmeno quel film perfetto che molti acclamano.

Se la sua forza risiede nell’intreccio narrativo, nella costruzione dei personaggi e sull’ignoto che vi aleggia attorno, il suo punto debole invece risiede nel finale. Non perché sia eccessivamente grottesco ed esagerato, ma per il suo modo repentino e sbrigativo di chiudere tutti gli intrecci narrativi. Una vera e propria secca chiusura del sipario, che lascia non poche cose in sospeso e senza una precisa e accurata spiegazione. Un’accelerata eccessiva negli ultimi minuti, che porta lo spettatore a subire fin troppi input emotivi e visivi, ai quali non riesce a dare una forma, finendo col trovarsi spaesato e non più terrorizzato. Un risultato probabilmente ottenuto in fase di montaggio, dopo che Ari Aster, costretto dalla casa di produzione (L’A24), ha rimosso ben oltre trenta minuti di filmato dalla sua opera.

Nonostante questo però Hereditary è uno dei migliori esordi degli ultimi anni, un film di cui non ci dimenticheremo facilmente e che probabilmente, con il passare degli anni, potrebbe diventare un vero e proprio cult del genere. Un’opera che sa il fatto suo, ottimamente orchestrata e che alza l’asticella del genere horror, riportandolo ai fasti di un tempo, lontano dall’immondizia da cui ormai viene investito da troppo tempo.