Un album che ha segnato un’epoca e che ha da subito consacrato una delle band più amate a livello mondiale.
I Linkin Park si formarono nell’ormai lontano 1996 tra cambi di formazione e ricerca di un nome definitivo per la band. Si strutturarono quindi in modo definitivo solo in prossimità dell’uscita del primo famosissimo album: Hybrid Theory.
Fino a pochi mesi prima dalla pubblicazione infatti il loro nome era Lincoln Park, negato dal fatto che il dominio internet con tale nome fosse già esistente e di fatto non utilizzabile. Avevano un contratto con la Warner Bros. Records e il loro produttore era Don Gilmore, divenuto famoso grazie ai suoi molteplici lavori in quel periodo. Si avvicinarono alla major grazie all’EP Hybrid Theory (che avrebbe dato poi il nome all’album in uscita) e in sole 4 settimane riuscirono a tirar fuori l’intero progetto.
Un ibrido che ha aperto un’epoca.
Il loro album di debutto era, come consigliato in parte dal titolo, un vero ibrido musicale. Al suo interno infatti furono inseriti generi e sonorità che fino a quel momento vivevano su mondi distanti e paralleli. Possiamo trovare infatti versi rappati, ritornelli melodici o letteralmente urlati, scratch e fasi di mixing live, chitarre potenti e distorte fusi a sonorità elettroniche. I Linkin Park non sono gli inventori di questo genere, dobbiamo questo a Korn e Deftones in primis, ma sono forse una delle punte di diamante che ha avvicinato il grande pubblico a queste sonorità .
La loro fortuna e intuizione è stata proprio quella di avvicinarsi al grande pubblico con pezzi come In The End, Run Away, Crawling e Pushing Me Away. L’intreccio di voci tra Chester Bennington e Mike Shinoda sono il punto forte della band e trovano il loro apice nel brano Forgotten. Lì infatti troviamo un continuo botta e risposta tra i due che riesce a legare perfettamente a un ritornello più melodico e leggero.
Un’alchimia che ha generato un vero e proprio culto.
Grazie al successo incredibile dell’album di debutto, che ha al suo attivo oltre 30 milioni di copie, i Linkin Park entrarono immediatamente tra le band più seguite e da seguire. Tutto il successo e la fortuna della band provengono dal potentissimo singolo One Step Closer. Grazie a questo si avvicinarono sia alla Warner che alle persone. L’intera canzone è ritmata in modo sincopato dalle chitarre di Brad Delson, elemento spesso dimenticato ma che riesce in tutto l’album a donare eterogeneità e potenza.
L’intero progetto è un vero gioiello musicale. Ogni brano ha la propria forma e caratteristica. Le 12 canzoni scorrono velocemente e nessuna sfigura rispetto alle altre. Avrebbero potuto benissimo usare ciascuna di esse come singolo di successo senza alcuna difficoltà . L’unica traccia atipica è chiaramente Cure For The Itch, strumentale in cui Joe Hahn la fa da padrone.
Papercut e By Myself sono forse le tracce più aggressive dell’intero album, anche se molto in linea con la struttura delle altre canzoni. Infatti troviamo spesso il connubio di rap e basi melodiche contrapposte dalla voce di Bennington e basi violente. Il significato di questa scelta viene consigliato anche dallo stesso Shinoda, creatore della copertina dell’album. Vediamo infatti un soldato, che rappresenta la durezza e aggressività del loro rock, con le ali che figurano invece come la melodia leggera del suo rap.
Un album fondamentale per gli anni 2000.
La grande forza di Hybrid Theory è stata quella di avvicinare due diversi mondi, quello più underground e quello più commerciale. Poche band sono riuscite in questo intento e bisogna dare merito ai Linkin Park di aver sfornato un prodotto praticamente perfetto sia per il loro genere di appartenenza che per quel periodo storico. Erano anni difficili, tra battaglie legali contro Napster da parte di band storiche come i Metallica e un netto cambio di rotta per la musica in generale. I Linkin Park sono riusciti a creare un vero e proprio faro generazionale.