Quello del cinema contemporaneo è un territorio ancora poco conosciuto ed esplorato, un universo forse ancora acerbo ma che ribolle di contenuti concettualmente interessanti.
Un riflesso della crisi ideologica dell’uomo e della società in epoca contemporanea. Risultando quindi frammentato e fluido, riflettendo sulla propria identità e su quella degli altri, facendosi a sua volta altro da sè.
In questa sede avanziamo solo un’introduzione al dibattito teorico che sta prendendo atto.
Il cinema è un universo dinamico, in costante mutamento, sia nelle forme che nei contenuti, e nel rapporto che esso intrattiene con lo spettatore. Numerose sono state le innovazioni tecniche e di acquisita consapevolezza dello strumento filmico che ne hanno delineato il percorso evolutivo.
Il fenomeno più destabilizzante, che ha maggiormente inciso nel cambiamento della natura stessa del mezzo cinematografico è stato, tuttavia, l’avvento della televisione.
O meglio dell’inserimento di una programmazione filmica all’interno dei palinsesti televisivi. Ciò ha modificato profondamente il rapporto tra spettacolo e spettatore, rendendo la fruizione cinematografica frammentaria e intermittente.
In epoca classica e moderna la sala ha costituito l’unica possibilità di fruizione filmica, soggetta ad un controllo espressivo produttivo e soggiogata dal potere attivo dello spettatore. La moltiplicazione delle modalità di visione, in epoca contemporanea, mina l’identità stessa del mezzo, il modo in cui il pubblico pensa ed interagisce con esso.
Il cinema contemporaneo dichiara allo spettatore la sua stessa evoluzione, rendendosi flessibile e duttile, non compiuto; un cinema “in possibilità”.
Volendo rappresentare una condizione di crisi individuale e sociale ereditata dall’ideologia postmoderna. Tale aspetto emerge dalla natura alternativamente, e plausibilmente, possibile dei contenuti rappresentati, che si concretizza nella forma dei cosiddetti “Puzzle film“.
I Puzzle film sono l’espressione di una tendenza relativizzante riguardo i modi in cui si crede di vedere.
La fragilità esistenziale e percettiva di tali opere induce lo spettatore ad interrogarsi riguardo l’identità delle opere stesse. L’identità stessa dei film muta, facendosi instabile, fluida. Riflettendo, in tal modo, come accennato una crisi identitaria individuale dell’uomo contemporaneo stesso.
L‘identità è un luogo di conflitto, che si autodetermina dal confronto con ciò che è altro da sé.
Quello che tale cinema si propone di fare è mettere in atto un dibattito sull’identità. Tale da pregiudicare, tuttavia, le possibilità di coinvolgimento emotivo dello spettatore. Diventando prioritarie le logiche compositive di una pellicola, su quelle narrative, gli autori contemporanei suggeriscono una riflessione su questo mutamento strutturale. Prevarica, quindi, nel cinema contemporaneo la tendenza a farsi altro, sia da un punto di vista tematico che stilistico-narrativo.
Diventando centrale una riflessione sull’ambiguità delle immagini stesse e della propria estetica.
Uno dei primi, e più emblematici, esempi è Zelig del 1983 di Woody Allen, in cui la natura ingannevole della pellicola stessa, che si maschera da finto documentario, si fonde con la natura ingannevole del personaggio, che assume diverse personalità a causa della patologia dalla quale è affetto.
Identità e alterità sono facce di una stessa medaglia, che pongono in discussione lo statuto estetico e concettuale dell’immagine.
Fight club di David Fincher e A beautiful mind di Ron Howard forniscono un ulteriore esempio, mettendo in scena personaggi irreali, nati dalla mente dei protagonisti. Lo spettatore, ingannato, solo in seguito acquisisce consapevolezza riguardo la reale natura di tali personaggi. Frutto della coscienza del protagonista, che fornisce loro una concretezza illusoria. Mettendo in dubbio la stessa natura diegetica della pellicola, attraverso la pluralità di alternative possibili.
Nel cinema contemporaneo l’identità, inoltre, si fonda sulla memoria.
Per cui la mancanza della stessa e il disorientamento diventano strumenti funzionali alla realizzazione di contenuto, a sfavore della struttura narrativa. Le cui dimensioni spazio-temporali diventano labili. La frammentarietà del racconto costruisce un’identità narrativa piuttosto aperta e libera. In esempi come Stay di Marc Forster, The machinistdi Brad Anderson,Shutter Islanddi Martin Scorsese o anche Memento di Christopher Nolan la memoria, o meglio la mancanza di essa, definisce l’identità del personaggio e della natura narrativa della pellicola stessa, rendendo entrambe precarie e provvisorie.
Memento costituisce un interessante caso di studio, la particolarità della pellicola risiedere nella composizione del montaggio, che si fonde alla natura della patologia dalla quale è affetto il personaggio.
Rendendo ancora più profonda l’identificazione dello spettatore, che si ritrova ad assumere la stessa capacità percettiva e cognitiva.
L’alterità è intrinseca l’identità stessa, la memoria cementa l’idea di un’identità coesa e omogenea. Il cinema tradizionale permette di riconoscere e comprendere l’alterità dei personaggi, strumento per il processo di identificazione. Nel cinema contemporaneo, invece, la memoria viene semplificata per fluidificare i personaggi e il film stesso, per enfatizzarne la natura plurima.
InIdentity di James Mangold l’identità dei personaggi è frammentata, occultandosi allo spettatore. Il quale, solo nel momento dello svelamento finale, scoprirà la provenienza unica e univoca delle personalità messe in scena.
Sotto quest’ottica concettualizzante che analizza il cinema contemporaneo, si colgono meglio una serie di dinamiche strutturali ed espressive dello stesso.
Che possono apparire destabilizzare le fondamenta del mezzo filmico, pregiudicandone gli esiti stilistici ed empatici. Ai fini di una rappresentazione concettuale di una crisi di tale portato, inevitabilmente viene meno la componente narrativa. Il mutamento del supporto tecnico e strutturale ha modificato, indubbiamente, il processo di ricezione. Tuttavia, tali cambiamenti non vanno osteggiati, né difesi, ma semplicemente riconosciuti ed accettati.
All’interno di un percorso metamorfico proprio del cinema, lungo il quale il cinema evolve senza tuttavia rinunciare alla propria identità di fondo.
Tale metamorfosi va inquadrata come una naturale continuità della natura del cinema, statica eppure dinamica. Rimando costante il desiderio basilare e profondo del mostrare, in qualunque modo e in qualunque forma.