La prima cosa che viene in mente ascoltando High As Hope, l’ultimo album di Florence + the Machine, è: ok, sono più o meno sempre le stesse cose, gli stessi giri, gli stessi arrangiamenti, gli stessi cori. La seconda cosa che viene in mente, subito dopo la prima è: sì, ma chi se ne frega, è un buon album. Di più, High As Hope è il quarto di una serie di ottimi album, in cui Florence Welch e compagni uniscono con successo emotività, soul e indie. La musica anche qui riesce genuinamente a coinvolgere, e non è poco, dopo dieci anni di carriera.
Certo, le musiche sono sempre più o meno le stesse, e i critici potrebbero dire (e noi lo diciamo in ogni caso) che Florencenon potrà continuare a proporre sempre le stesse sonorità all’infinito. Altrimenti, prima o poi resterà senza idee, e non le rimarrà molto altro. Tuttavia, tale pericolo non sembra immediato, e ciò dà a Florence lo spazio per continuare a proporre musiche sempre simili ma tuttora valide.
Ci sarà chi probabilmente analizzerà questo album partendo dai testi. “The show was ending and I had started to crack/Woke up in Chicago and the sky turned black“, così inizia la prima traccia dell’album, June. “At seventeen, I started to starve myself/I thought that love was a kind of emptiness“, così inizia la seconda, Hunger. Ma noi sappiamo che le confessioni personali sono una cifra stilistica di Florence, e quindi anche qui niente di nuovo.
Certo, non si può non segnalare come High As Hope, anche sui toni musicali, sia un album decisamente più intimo rispetto ai precedenti. Tuttavia la dimensione lirica non prende mai il sopravvento su quella musicale, che ancora una volta si riassume in un tappeto sonoro costruito solo per accompagnare la ancora straordinaria voce della nostra cantante.
I pezzi validi si sprecano.
Dai singoli, Sky Full of Song, Hunger e Big God, a vere sorprese come Patricia e 100 Years, quest’ultimo forse il momento migliore dell’album. E poi una canzone come Grace, scritta assieme a Sampha, e lo sfogo finale di No Choir.
Dieci canzoni che si reggono bene insieme senza difficoltà, restituiscono un album completo e preciso, che non lascia rimpianti. Non servono canzoni in più, non servono variazioni di stile, non servono altri ospiti, non servono neppure le chitarre. High As Hope va benissimo così.