Kamasi Washington – Stile e qualità, ma poco calore
Per il suo ultimo album la jazz superstar Kamasi Washington ha sfornato sedici nuove tracce, tutte di durata notevole. Le ha poi suddivise in un doppio album concettuale, nel quale si incontrano la metà terrena, Earth, e la metà celestiale, Heaven.
Perciò la prima metà dell’album dovrebbe rappresentare la carnalità, la seduzione della mortalità. E la seconda dovrebbe elevare lo spirito attraverso l’arte, in stile A Love Supreme di John Coltrane.
Heaven and Earth è un viaggio tra diversi stili di musica, black e non. Non si parla solo di jazz, ma anche di soul, di bossa nova (Vi Lua Vi Soul), di fusion stile Herbie Hancock primi anni ’70 (Connections), di musica classica.
A puntellare il tutto, un paio riferimenti culturali alti e bassi: Fists of Fury, canzone di un omonimo film con Bruce Lee del 1971; e Hub-Tones, classico hard bop di Freddie Hubbard del 1962.
Tutto benissimo, tutto bellissimo. Sulla carta, Heaven and Earth è un album di grande qualità, alto livello, e forte competenza. Non ambizioso quanto The Epic (2015), però altrettanto corposo e imponente.
Ma. Ma c’è un “ma”.
Ed è un “ma” che emerge, si insinua pian piano durante l’ascolto. Il “ma” corrisponde ad un’orribile impressione, l’impressione che a questo disco tanto curato e artistico manchi qualcosa. Che cosa? Forse il problema sta nel fatto che le canzoni, almeno al primo ascolto, sono un pò tutte uguali.
La differenza tra le due metà concettuali del disco si sente appena, a volte quasi non si coglie. Certo, probabilmente a smontare pezzo per pezzo le sequenze di accordi e risuonarle magari al piano, le differenze risalterebbero. Però non è così che funziona l’industria discografica, purtroppo.
Altro fattore poco attraente è l’ossessivo utilizzo che Kamasi Washington fa di orchestra e cori. Abbiamo capito che sa comporre, abbiamo capito che sa arrangiare. Ma il ritorno continuo di questo tappeto sonoro ci porta in una sorta di limbo, a metà tra jazz e musica classica, dando però l’impressione di non poter giungere a nessuno dei due.
La varietà di stili, seppur presente, è veramente minima. Ad un profano potrebbe addirittura sembrare (anche se non è ovviamente così), che Kamasi abbia composto una sola canzone e l’abbia poi rimescolata per sedici volte, ottenendo un risultato ogni volta differente.
Naturalmente, lungi da noi disconoscere il genio, le capacità e le doti artistiche di questo gigante del jazz contemporaneo. Però… diciamo che Heaven and Earth è un album che non ci sentiamo di bocciare a livello critico. Allo stesso tempo, non ci sentiamo di promuoverlo a livello emotivo.
La ripetitività, la mancata varietà di stili, il rigore artistico a scapito del calore tipico del jazz; sono tutti elementi che “raffreddano” l’ascolto di questo disco. Nemmeno gli accenti di Big Band alla Count Basie riescono ad infiammare le canzoni, perchè troppo organizzati e troppo ricorrenti. Il ritmo, pure, sembra quasi sempre lo stesso.
Come mai un risultato come questo?
Si potrebbe dire che nel 2015, quando realizzò The Epic, il sassofonista aveva ancora tutto da dimostrare. Solo qualche album non ufficiale all’attivo, qualche collaborazione di poco conto, se non contiamo Flying Lotus nel 2014. Poi, con il successo, sono venute le comparsate di alto livello: Thundercat, Run the Jewels, Kendrick Lamar. E oggi, Kamasi Washington brilla di gloria riflessa presso il pubblico non-jazz proprio in virtù di queste collaborazioni.
E la fama lo ha spinto forse a fare un disco che gli piaceva, senza sforzarsi di cercare un rinnovamento di stile. Oppure, viceversa, lo ha spinto a creare un album di qualità impeccabile, virtualmente esente da critiche di carattere musicologico. Dimenticando però, nel contempo, la passione intensa e la perdizione stilistica che questa musica richiede. A voi il giudizio.