Il trio formato da MC Ride, Andy Morin e Zach Hill torna come sempre tra misteri e uscite paradossali.
I Death Grips non hanno certo bisogno di presentazioni. Attivi dal “lontano” 2010 son sempre riusciti a far parlare di sé in un modo o nell’altro. Come di consueto anche l’annuncio di quest’ultimo album è stato fomentato con piccoli indizi e leak sul web, senza mai spingersi troppo oltre. Quando ormai sembrava tutto pronto per l’ennesima prova di esuberanza arriva la notizia che Year of the Snitch è stato leakato completamente.
Sulla loro pagina Facebook viene dichiarato così, in modo nudo e secco, in perfetto stile Death Grips.
Passiamo però all’aspetto più importante: il disco.
L’album apre con uno dei pezzi che probabilmente resterà più nella memoria futura come brano iconico del progetto: Death Grips is Online. Si passa da lunghi pad melodici a dissonanze rabbiose, giusto per presentare ciò che ci attenderà durante l’ascolto dell’intero album.
Ci troveremo subito dopo di fronte a Flies, un brano con tendenze trap e che abbassa il tiro rispetto all’apertura. Le sonorità minimaliste supportate principalmente dalla ritmica, danno un iniziale senso di appiattimento, come la ballata in un album metal, ma che risulta funzionale all’ingresso del pezzo successivo. Black Paint è potente, senza alcun giro di parole. Troviamo un basso completamente distorto e ridondante, una ritmica in crescita e l’ingresso di chitarre come melodia. La voce di MC Ride risulta come di consueto furiosa e appare come un vero e proprio canto di guerra.
Linda’s in Custody si affida in qualche modo alle sonorità più in voga del momento. Il revival anni ’80 colpisce in qualche modo anche i Death Grips ma in una maniera, chiaramente, del tutto imprevedibile. Mentre tutto il mondo della musica utilizza quelle sonorità e melodie aperte che rafforzano la musicalità (spesso in modo forzato) di un pezzo, loro le rendono pletoriche. Il risultato è una danza ipnotica tribale e malata.
The Horn Section è una composizione electro/jazz che funziona da transizione e lo fa in maniera ottima. Si presenta poi la traccia forse più emblematica dell’intero album. Hahaha contiene come sempre un mix di vari generi e suoni e il risultato può variare da ascolto ad ascolto. Questo perché a primo acchito è sicuramente la più orecchiabile dell’album e potrebbe in qualche modo ammorbidire tutto il resto del lavoro. Al suo interno però possiamo trovare, a fronte di qualche suono un po’ troppo sopra le righe come lo scratch anni ’90, una composizione che rimane in linea con l’apertura del disco, con alcune sezioni veramente riuscite e altre meno.
Shitshow è la più violenta e malata traccia di tutto l’album. Le sonorità si avvicinano al black metal e i tempi delle ritmiche diventano velocissimi. In Streaky, Dilemma, Little Richard e The Fear i synth tornano a farla da padrone. Tempi più “umani” e una libertà maggiore nell’inserimento delle parti vocali. Anche in questo caso sembrano voler trasportare in un revival anni ’80 in modo marcio e malato.
Outro è, diversamente dalle aspettative date dal nome, la penultima traccia. Come per The Horn Section funge da transizione, con una durata di appena un minuto. A chiudere il tutto ci pensa Disappointed e lo fa nel migliore dei modi. L’ultima traccia infatti fa leva su un ottimo ritmo, giusta violenza e un perfetto uso e intreccio delle voci.
Parliamoci chiaro, i tempi in cui il trio era sinonimo di massima trasgressione sia musicale che nel modo in cui si ponevano è ormai finito. Questo album apre a due quesiti che probabilmente non avranno risposta: stanno continuando sulla solita strada ma senza il risultato passato oppure hanno capito che il loro format è consacrato e lo cavalcano senza più il bisogno dell’ossessiva ricerca di scandalo?
In entrambi i casi siamo di fronte a un fenomeno in continua evoluzione, sia per quanto riguarda la band in questione che nel panorama musicale attuale. La trasgressione, spesso o quasi sempre veicolata e fittizia, è ormai all’ordine del giorno e per emergere necessita sempre di più eccesso.
I Death Grips hanno creato un loro pianeta in cui non tutto gravita solo ed esclusivamente intorno alla provocazione. Questo album apre infatti la strada a soluzioni diverse rispetto al passato.
Year of the Snitch risulta un ottimo prodotto che potrebbe riuscire a unire sia gli storici fan della band che i nuovi arrivi, cosa solitamente tutt’altro che semplice. In complesso risulta un progetto da gustare tutto d’un fiato, come fosse una sola e unica lunga traccia (cosa che nel panorama odierno, anche in questo caso, sta prendendo sempre più piede).
Genere: Alternative Hip Hop Anno pubblicazione: 2018