Recensione di Kids See Ghosts e Nasir, prodotti da Kanye West

Kanye West nel ruolo di producer
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Se è un sogno, non svegliateci.

Se il nuovo disco di Kanye West è bastato a stupire, questi due nuovi lavori, rispettivamente di Kid Cudi (sotto il nome KIDS SEE GHOSTS, duo formato da lui e da Kanye stesso) e Nas, sotto la guida di Kanye in veste di producer hanno lasciato letteralmente senza parole. E vi spieghiamo perchè.

KIDS SEE GHOSTS – KIDS SEE GHOSTS (8 giugno)

kid cudi

Qualcuno di voi per caso si ricorda di Kid Cudi? Da tempo pupillo di Kanye, esordì nel 2009 con un disco dall’altisonante titolo Man on The Moon: The End of Day, suddiviso in cinque atti, con un hip hop criptico e psichedelico. Poi… il vuoto. Altri cinque dischi finiti velocemente nel dimenticatoio e una carriera che sembrava destinata a finire.

Se Cudi cercava un trampolino di (ri)lancio, Kanye West gliel’ha costruito. Sostenuto da una struttura solida fatta di campionamenti assurdi che disegnano le oscure fondamenta dei pezzi (What Will Santa Claus Say di Louis Prima in 4th Dimension, Burn The Rain di Kurt Cobain in Cudi Montage) mischiati con la vena minimal e neo-soul di Kanye stesso, che travolgono anche senza groove trap o bassi distorti; Kid Cudi incastra punchline e ritornelli melodici ed è a proprio agio come mai prima d’ora; lo si intuisce dalla calma con la quale bilancia i pezzi, senza dover per forza infilare flow arrabbiati o stravaganti parti di mumble rap: entrambi i compiti sono affidati al buon vecchio Pusha T e a Ty Dolla $ign, ormai veterani delle “sporche” . Un album costruito sostanzialmente su un fordismo che da Kanye West sarebbe stato difficile aspettarsi.

Sul piano lirico, Kid Cudi si è superato.

Anche con i testi Kid Cudi si è trovato a proprio agio, parlandoci della sua dimensione parallela fatta di incubi, paranoie ( “Bought her alligator, I ain’t talkin’ Lacoste”), fantasmi e spiritualità con una tranquillità invidiabile che dimostra la consapevolezza con la quale è stato realizzato questo disco. Kanye gli ha cucito un abito su misura, e lì dentro Cudi sta benissimo. Quel vecchio volpone di West, poi, ha capito come funziona il gioco: solo sette brani, niente riempitivi; il disco è un pugno in faccia lungo neanche ventiquattro minuti. Sfidiamo chiunque a negare che, almeno fino ad ora, questo KIDS SEE GHOSTS sia uno dei migliori dischi rap usciti nel 2018. Menzione d’onore anche per la copertina, uno scenario insieme da sogno e da incubo che disegna la sintesi dell’album intero. Solo applausi.

Nas – NASIR (15 giugno)

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Di Nas, invece, ci ricordiamo tutti. Del suo leggendario debutto, Illmatic, e di quel disco del 2006 che sembrava testimoniare la fine di un’epoca: Hip Hop Is Dead. La morte dell’old school.

Con questo NASIR ( vero nome del rapper newyorkese), l’hip hop, quello crudo, sporco e cattivo, prende una boccata d’aria. Nas è il Neo che ha scelto di prendere la pillola rossa: la trap che lo circonda non gli interessa, preferisce vivere nel suo vero mondo fatto di street credibility black pride . A livello di scrittura Nas si conferma ineccepibile; politicamente impegnato più che mai (“The cops used to come around in my neighborhood / Alright, you kids, stop having so much fun, move along! / Oh they’d arrest me, you know, especially at night”) in un’America che ha di nuovo bisogno di proteste. Questo è l’unico “trend del momento” (ed è offensivo chiamarlo così) che si può accusare il buon Nasir Jones di seguire.

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E i beat?

Nas ha sempre avuto qualche problema con le produzioni, tanto che qualcuno afferma che, se non fosse stato per i producer dei quali si è circondato, ora sarebbe il rapper migliore al mondo. Non si può dire che le basi in questo lavoro siano assolutamente perfette, ma la loro eleganza che evita la facile strada pianoforte-basso-batteria boom bap sfida la natura stessa di Nas. Le produzioni sono il Morpheus che guida l’Eletto fuori dal Matrix spingendolo a fare sempre di più. E ancora una volta, Kanye West ha capito quale fosse il lavoro da fare: far tornare la fotta ad un 45enne che non attendeva altro e sfidarlo a destreggiarsi su beat inusuali. C’è qualche retaggio di old school (Adam and Eve), ma c’è anche il jazz campionato di White Label,la new school con i bassi tonanti in Cops Shot The Kid e il gospel in Simple Things. Non è solo rap, è black music; è Kanye.

NASIR è il Nas del 1994 che ha deciso di indossare uno smoking. Cucito su misura, ma con i bottoni al posto dei gemelli. E funziona, caspita se funziona. Perchè Nas con il rap fa quello che vuole. “I can change everything, I will change anything” (everything, traccia numero 5 di NASIR).

https://open.spotify.com/album/66EwBbt2kPgugo8Wz0SKAw?si=DLzFB208SieYeZALP-0-EA

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Genere: Hip hop

Anno di pubblicazione: 2018