Dei di Cosimo Terlizzi: Recensione del Film

Al cinema dal 21 Giugno, Dei, il nuovo film di Cosimo Terlizzi. Tra le suggestioni della mitologia e il desiderio di vivere una vita diversa il film esplora una Puglia malinconica e fuori da ogni stereotipo.

Dei Terlizzi Film Recensione
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Dei è il nuovo film di Cosimo Terlizzi, regista e fotografo pugliese che scrive e dirige un lungometraggio nella sua terra d’origine. Due ragazzi neanche maggiorenni – Martino (Luigi Catani) e Valentina (Angela Curri) – si imbucano ad alcune lezioni universitarie di filosofia a Bari per il gusto di imparare.

I due arrivano ogni giorno con il treno dalle celebri campagne pugliesi. Conosciute in tutto il mondo per il loro splendore ma non per i sacrifici che i lori abitanti devono fare per tirare avanti.

All’università Martino incontra Laura (Martina Catalfamo), una studentessa molto più grande che è incuriosita dal 17enne, che lo invita a casa sua. Il primo impatto non è dei migliori, ma mano a mano rimarrà ammaliato dal fascino di Laura e dei suoi bizzari coinquilini, non potendo fare a meno di sperimentare avventure dal gusto agrodolce.

Martino è cosciente che la fascinazione per la città è forte, ma anche che non potrà scappare per sempre dalla vita di campagna che lo attende, tra una famiglia povera e il desiderio di potersi iscrivere all’università.

Dei: l’Olimpo come una “comune” studentesca

Il film, che ha per trama il dramma comune di molti giovani che vorrebbero liberarsi da un destino già scritto, è giocato intorno all’illusione che esista un Olimpo degli Dei e che sia a Bari. Agli occhi di Martino, narratore ideale della storia, i suoi nuovi amici sono dei e la loro casa il Pantheon dove poter discutere e connettersi ad una realtà superiore.

Ognuno dei suoi nuovi amici è idealmente una divinità diversa e ne incarna vizi e virtù che non sono facili da comprendere ed accettare; a partire proprio dal loro atteggiamento da “comune” studentesca di mezzo secolo fa.

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Le suggestioni di Terlizzi portano la realtà giovanile fuori dal solipsismo e dall’individualismo che la circonda riprendendo i vecchi miti di una generazione passata. Con-vivere nel senso di vivere insieme e donare all’altro tutto ciò che si ha dentro.

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Martino (e in parte anche l’amica Valentina) non possono essere altro che iniziati al culto; in questo caso della bellezza e della vita vissuta e disordinata. Da discenti silenti, infatti, ascoltano e assorbono il possibile lasciandosi guidare dalla corrente.

Dei: la campagna pugliese fuori dagli stereotipi

Quest’aspetto è evidenziato dal contrasto netto tra campagna e città: Bari, una delle città ingiustamente trascurate a lungo dal cinema italiano, diventa l’emblema dell’urbanizzazione, della novità e della cultura. La campagna, invece, si spoglia da tutti i suoi stereotipi e si trasforma in una terra arida e fredda dove non c’è terreno fertile per crescere.

La campagna che viene mostrata è ancora dimora di vecchi retaggi, non in maniera estrema come in Lazzaro Felice e vecchie usanze prossime alla morte. L’attività di famiglia di raccogliere ferro, badare alle galline e venerare l’albero di ulivo del cortile è destinata a morire. Intanto, però, è un freno inibitore alla fantasia ed al futuro del giovane Martino che – altrimenti – non potrebbe sbocciare.

Non si può vivere in un sogno

Il film è come se fosse ambientato in un sogno dove al risveglio c’è la vita di tutti i giorni. Martino fallisce, non per colpa sua ma perchè l’incantesimo è destinato a rompersi, proverà ad entrare nell’Olimpo e gli toccherà una dura caduta. Allo spettatore il compito di intuire se tornerà a volare o rimarrà zoppo per sempre.

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Il risultato è una malinconia latente che si insinua in tutti i protagonisti, i ragazzi di città ed i ragazzi di campagna, come se sapessero che il piacere non può durare per sempre. Non ci sono contingenze esterne che rompono l’incantesimo, ma è una sorta di autorichiamo all’ordine che li inchioda alla realtà.

La giusta misura tra apollineo e dionisiaco

D’altronde il tema del film è largamente anticipato subliminalmente dal professore di storia dell’arte durante la lezione a cui assistono i ragazzi: la bellezza è frutto di un’interazione tra apollineo e dionisiaco, come nella tragedia greca. Tra il caos e l’ordine, e fuori dalla metriotes non c’è e non ci può essere nulla.

In Dei, inoltre, non esistono differenze di classe. Agiati studenti che possono permettersi l’università senza lavorare convivono con un ragazzino di una famiglia umile. Questo antirealismo ostentato non fa altro che proiettare lo spettatore nella sopracitata realtà fantastica e calarli in scenari e situazioni rarefatte e pretestuose per altro.

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Il film non può che chiudersi con un briciolo di amarezza, con una trasformazione mancata, ed un elevamento a cui è seguita una caduta; alla rottura dell’ordine e ad una calda estate pugliese messa in scena con una fotografia fatta di colori freddi e malinconici. Ma gli antichi insegnavano anche che non c’è cosa più felice di un corpo che cade.